Donne vittime di tratta a scopo di sfruttamento sessuale come autrici di reato

Il ruolo delle vittime di sfruttamento sessuale nei crimini legati alla tratta di esseri umani in un’analisi dell’UNODC

Il ruolo rivestito dalle donne vittime di tratta e di sfruttamento sessuale nella strategia criminale delle organizzazioni dedite al traffico di esseri umani è al centro di un’analisi recentemente pubblicata dall’Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine (UNODC). I dati raccolti dall’UNODC negli anni – già sintetizzati nel Global report del 2018 – ha infatti messo in luce che più del 30% dei soggetti indagati, imputati o condannati per crimini connessi alla tratta e allo sfruttamento sessuale di persone è rappresentato da donne, molte delle quali a loro volta vittime di tratta e sfruttamento.

Lo studio è il risultato di un’analisi qualitativa avente a oggetto 53 casi tratti da 12 diverse giurisdizioni (identificati dall’UNODC grazie a un apposito database), per un arco temporale che va dal 2006 al 2020. Nel richiamare l’attenzione su questo allarmante trend che vede le donne vittime di tratta a loro volta sottoposte a procedimento penale, l’UNODC si propone di indagare lo specifico ruolo da queste ricoperte in seno alle organizzazioni criminali e, più in particolare, il rapporto intercorrente tra loro e i trafficanti, cercando di portare allo scoperto i motivi che spingono le vittime a divenire partecipi delle attività criminali.

L’analisi dell’UNODC permette dunque di evidenziare alcuni dei principali aspetti del fenomeno in questione, e precisamente:

  • rileva come le vittime siano frequentemente utilizzate dai trafficanti come scudo dai procedimenti penali, venendo incaricate di compiere le condotte più prossime all’attività di sfruttamento delle nuove vittime (reclutamento, controllo, raccolta dei proventi dello sfruttamento…) e perciò più esposte al rischio di intercettazione da parte delle pubbliche autorità;
  • evidenzia come, in molti casi, lo sfruttamento delle vittime-imputate si protragga anche durante il periodo in cui queste partecipano all’attività criminale;
  • mette in luce lo stretto legame che sussiste tra tratta di esseri umani e violenza di genere: circa il 25% delle vittime di tratta di esseri umani poi divenute oggetto di procedimento penale sono state altresì vittime, prima o durante la loro sottoposizione a sfruttamento, di violenza sessuale, violenza domestica, matrimonio forzato o minorile o forme di schiavitù sessuale;
  • attesta come frequentemente tra le vittime-imputate e i trafficanti sussista una relazione di tipo romantico o familiare, all’interno di contesti domestici e familiari in cui la violenza e gli abusi sono normalizzati da parte delle vittime stesse, che non riconoscono la propria condizione;
  • sottolinea come le motivazioni alla base della scelta delle vittime-imputate di partecipare alle attività criminali siano nettamente differenti rispetto alle motivazioni dei trafficanti e frequentemente risiedano nel desiderio di attenuare la propria condizione di sfruttamento o nell’impossibilità di disobbedire agli ordini del trafficante.

Lo studio si focalizza inoltre sulla differente ampiezza attribuita nei diversi ordinamenti ai concetti di coercizione e di abuso di una posizione di vulnerabilità rilevanti ai sensi della nozione di tratta di esseri umani definita dal Protocollo di Palermo del 2000 e, soprattutto, sulla difficoltà manifestata dagli Stati nell’implementare e applicare il principio secondo cui le vittime di tratta non devono essere sottoposte a procedimento penale per gli atti criminali da loro compiuti quale diretta conseguenza della propria condizione di vittima.

Il report dell’UNODC può essere consultato qui.

(Silvia Bernardi)