I crimini internazionali nella giurisprudenza latinoamericana

Una breve presentazione del libro

L’autore di un libro non è quasi mai completamente soddisfatto della sua opera. Per quanto le si dedichi tempo e sforzo, quando il libro è pubblicato e lo si legge da una prospettiva più rilassata e prendendone maggiormente le distanze, si scopre sempre qualche errore sfuggito alle varie revisioni o qualche aspetto che si vorrebbe cambiare. In questo caso, credo che, se potessi, cambierei il titolo del libro. Nel tentativo di scegliere un titolo corto e semplice, ne ho scelto uno che, mi rendo conto ora, non riflette completamente il contenuto dell’opera. Perché è vero che il suo oggetto di studio è l’interpretazione che la giurisprudenza latinoamericana dà delle figure criminose classificate come crimini internazionali, ma questo è in realtà il punto di partenza di un’analisi e di riflessioni assai più ampie, che toccano: la comprensione del principio di legalità nella sfera del diritto internazionale dei diritti umani e del diritto penale internazionale; le implicazioni che ha la tipicità per il principio di offensività e di intervento minimo nel diritto penale; il ruolo del giudice nel processo normopoietico; il dibattito intorno agli obblighi internazionali di persecuzione penale e sanzione di fronte alla commissione di crimini internazionali; il fine, l’ambito ed i limiti dell’applicazione della giustizia penale internazionale e la sua evoluzione, da una struttura simile allo ius commune verso una progressiva codificazione e consolidamento. 

 

L’idea iniziale del libro è sorta dall’intuizione che, in molte occasioni, la giurisprudenza sussume determinati fatti nella categoria dei crimini internazionali senza adeguarsi ai criteri interpretativi normalmente accettati in ambito penale e, allo stesso tempo, in chiave probabilmente strumentale. In effetti, uno studio delle sentenze pronunciate da tribunali penali e, in alcuni casi, da tribunali costituzionali dei Paesi del continente latino-americano, mi ha portato a scoprire uno schema ricorrente, in virtù del quale si qualificavano i fatti come crimini internazionali in base a degli argomenti piuttosto forzati, per applicare a continuazione le regole speciali proprie di questa categoria, vale a dire, l’imprescrittibilità e l’impossibilità di amnistiare. Quest’osservazione mi ha spinto ad interrogarmi sul ruolo della tipicità nel diritto penale internazionale (un’area dove tradizionalmente questo concetto non ha trovato spazio), e sulle possibili ragioni, e sulle evidenti conseguenze, di determinate opzioni interpretative adottate da tali tribunali. Si può quindi dire che l’interpretazione dei crimini internazionali da parte dei tribunali latinoamericani è il case study da cui muove un’analisi che trascende quest’ambito specifico, e che pone domande e riflessioni su temi classici, e tuttora discussi, del diritto penale.

La decisione di concentrarsi sulla giurisprudenza latino-americana è dovuta a ragioni quantitative e qualitative. Da una parte, in quest’area geografica si trova una notevole quantità di sentenze e decisioni relative a fatti astrattamente qualificabili come crimini internazionali, a causa dell’esperienza storica di violenza collettiva vissuta praticamente da tutti i Paesi del continente nella seconda metà del XX secolo. Tali Stati, nel contesto dei processi transizionali che li hanno portati a recuperare un regime democratico dopo l’esperienza dittatoriale, o a restaurare la pace dopo un conflitto armato (o, nel caso colombiano, a cercare meccanismi di pacificazione e transizione nell’ambito di un conflitto ancora vivo), hanno dovuto affrontare l’arduo compito di dare una risposta alle gravi violazioni dei diritti umani commessi nell’epoca precedente. D’altra parte, la giurisprudenza latino-americana desta un particolare interesse perché i tribunali, chiamati a risolvere dilemmi assai complessi circa la possibilità di esercitare l’azione penale, hanno mostrato una gran creatività. Sullo sfondo di tali proposte interpretative si trovano, da un lato, la coscienza del maggior disvalore, e del messaggio più forte, che implica la sussunzione di un fatto nella categoria dei crimini internazionali e, dall’altro, a un livello assai più pratico ed immediato, la necessità di superare gli ostacoli alla persecuzione penale posti, tra gli altri, dalle regole della prescrizione e dall’esistenza di disposizioni di amnistia o di indulto.

 

Il libro si propone di analizzare quindi le decisioni giudiziali più interessanti, tra quelle dettate dai tribunali del continente latino-americano, in termini di contributo alla definizione dei tipi penali internazionali, dei loro elementi strutturali e del loro perimetro applicativo, sottoponendole ad un’analisi critica alla luce della loro compatibilità con i principi costituzionali e con la natura stessa del diritto penale. 

Preliminarmente, si definisce, nel primo capitolo, il quadro normativo nel quale si muove la giurisprudenza menzionata, sottolineando, in primo luogo, le specificità dei crimini internazionali come categoria ibrida, di creazione progressiva e marcatamente giurisprudenziale; in secondo luogo, le differenze che tali delitti manifestano quando vengono declinati nei vari ordinamenti nazionali (ed anche, in alcuni casi, tra gli strumenti internazionali rilevanti in materia); e, infine, il regime speciale che accompagna la persecuzione penale di tali reati. L’analisi si concentra costantemente sul genocidio e sui crimini contro l’umanità e, all’interno di questi ultimi, sulle condotte di tortura e sparizione forzata di persone, poiché sono quelli che con maggior frequenza compaiono nella giurisprudenza latino-americana.

Dopo aver tracciato il perimetro normativo applicabile, il secondo capitolo, nucleo centrale del libro, sviluppa l’analisi della giurisprudenza propriamente intesa, strutturandolo introno a due assi: l’espansione delle figure criminose e la loro riduzione o specificazione, che riflettono due tendenze ben marcate nelle decisioni studiate. La tendenza espansiva comprende le pronunce che ampliano i crimini internazionali in prospettiva diacronica (estendendone l’applicazione indietro nel tempo, a fatti commessi prima della loro tipizzazione nell’ordinamento), oppure sincronica e più propriamente tipica. Questi fenomeni si producono a partire da vari percorsi interpretativi che ricorrono: all’applicazione diretta di strumenti internazionali come fonti incriminatrici, inclusa la consuetudine, ad un interessante meccanismo noto come “doppia sussunzione” (che implica la sussunzione dello stesso fatto in una figura criminosa comune ed in un crimine internazionale allo stesso tempo), alla peculiare disciplina del reato permanente(applicata alla sparizione forzata di persone), ad una regola speciale di sospensione dei termini di prescrizione per la durata del regime dittatoriale e, in relazione all’ampliamento sincronico, all’interpretazione estensiva di elementi tipici (come il concetto di gruppo nazionale nel delitto di genocidio) o a un controllo di costituzionalità che conferma opzioni espansive adottate dal legislatore nazionale, oppure annulla elementi restrittivi introdotti da quest’ultimo in difformità rispetto alla corrispondente norma internazionale. Tutti questi argomenti presentano profili critici, evidenziati nell’analisi, che generano forti tensioni con principi fondamentali come quelli di legalità, di irretroattività, di uguaglianza di fronte alla legge, che compongono il nucleo garantista su cui radica la legittimità del moderno diritto penale.

A questa tendenza se ne contrappone una opposta, che definisco riduttrice o di chiarificazione, che cerca di limitare le pulsioni espansive, di recuperare una definizione di questi tipi penali più conforme alle corrispondenti norme internazionali, o di chiarire elementi tipici o aspetti della disciplina che, per quanto consolidati nella giurisprudenza nazionale, necessitano di un maggiore sviluppo nell’area del diritto penale internazionale. Questo effetto si produce: valorizzando l’elemento di contesto come requisito tipico necessario per configurare i crimini internazionali ed evitarne l’espansione a fatto che sono chiaramente carenti di quella dimensione massiva, definendo la disciplina concorsuale tra di essi e i reati comuni, fissando criteri ermeneutici per interpretare questa categoria oppure realizzando un controllo di costituzionalità che recuperi la conformità della disposizione nazionale con la corrispondente definizione internazionale.

Entrambe le tendenze giurisprudenziali hanno un punto di partenza comune: la tipicità, più precisamente, la tipicità penale internazionale, anche se nel diritto penale internazionale questo principio/concetto sembra essere più il punto d’arrivo di un processo genetico delle norme che ricorda assai da vicino l’evoluzione dallo ius commune al diritto penale moderno. Tali aspetti vengono trattati nel terzo e ultimo capitolo del libro, dedicato ad alcune riflessioni di carattere più generale sull’impatto che le linee interpretative analizzate producono. Così, dopo un breve excursus sul concetto di tipicità e sul suo legame con i principi di legalità e di offensività, si sostiene l’importanza della sua valorizzazione nella sfera del diritto penale internazionale, alla luce, da una parte, dell’evoluzione di questa branca del diritto verso un crescente riconoscimento del principio di legalità nella sua versione più rigida o “solida” (come evidenzia il testo dello Statuto di Roma) e, dall’altra, della necessità, quando la sua applicazione avviene a livello nazionale, di garantire la sua conformità con i principi e le garanzie costituzionali consolidate in quell’ordinamento.

Attraverso le lenti offerte da queste considerazioni di carattere generale, si torna poi a guardare i risultati dello studio giurisprudenziale svolto nel capitolo precedente, con l’obiettivo di descrivere e stimare gli effetti che quelle proposte interpretative producono sui principi penali, sull’architettura dell’ordinamento e sulla sfera di garanzie degli individui. Così, la giurisprudenza che si ascrive alla tendenza espansiva impone una chiara revisione del principio di legalità e dei suoi vari corollari, avvicinandosi al suo concetto “indebolito” che accoglie il diritto internazionale, e toccando la sfera di garanzie individuali contro il potere punitivo, poiché favorisce la diffusione di un approccio neo-punitivista e la creazione di un sistema penale differenziato dove si sospendono i principi e le regole di ordinaria applicazione a favore di una massimizzazione della persecuzione penale e della tanto acclamata lotta contro l’impunità. La tendenza riduttrice, invece, determina la riduzione dell’ambito applicativo dei crimini internazionali, la chiarificazione dei loro elementi costitutivi e della disciplina loro applicabile e, in termini generali, contribuisce ad avanzare nella configurazione di questi delitti.

Il libro suggerisce anche che dietro a ciascuna di queste tendenze si possono intravvedere differenti obiettivi: la giurisprudenza espansiva normalmente ricorre all’applicazione dei crimini internazionali per aggirare gli ostacoli che la prescrizione, l’amnistia ed istituti simili frappongono alla persecuzione penale per i fatti commessi durante le esperienze di violenza collettiva, e che il regime speciale di tale categoria permette di superare. Talora la qualificazione di un fatto come crimine internazionale risponde solamente ad un obiettivo espressivo o simbolico, privo degli effetti pratici ora menzionati, ma che pure comporta rischi collegati ai fini, ai mezzi e ai limiti della giustizia penale come preteso strumento creatore di verità e memoria. La tipicità funziona perciò, in questa tendenza giurisprudenziale, come grimaldello interpretativo per raggiungere determinate conseguenze pratiche o simboliche.

La giurisprudenza riduttrice o chiarificatrice, al contrario, usa la tipicità come argine contenitivo, dato che il suo obiettivo pare essere quello di recuperare e consolidare il garantismo nella sfera del diritto penale internazionale, oltre a contribuire, almeno indirettamente, all’armonizzazione delle norme che definiscono i crimini internazionali e che ne disciplinano la persecuzione penale.

Un altro impatto particolarmente significativo della giurisprudenza analizzata si registra nella configurazione dei rapporti tra i poteri dello Stato, specialmente tra legislatore e giudice. Si dedica quindi una sezione all’analisi di queste dinamiche che, a seconda dell’attività (o della sua carenza) da parte del legislatore e della relazione con le norme internazionali, assegnano al giudice un ruolo di sostituzione, convalida o correzione di opzioni legislative interne, oppure una posizione ascrivibile al concetto di attivismo giudiziario.

Per concludere, si menzionano gli indizi e le prospettive di amplificazione della giurisprudenza analizzata e dei suoi effetti extra moenia, a causa del dialogo giudiziario e del fenomeno di judicial cross-fertilisation, che diffonde argomenti e proposte elaborate in un determinato ordinamento in contesti differenti, sia nazionali che sovranazionali. Questi fenomeni possono rendere i tribunali latinoamericani non solo semplici attori nello sviluppo del diritto penale internazionale, ma veri e propri artefici della sua armonizzazione.

 

L’obiettivo di questo libro è quindi duplice: da una parte, analizzare criticamente le tendenze giurisprudenziali poc’anzi segnalate, evidenziandone gli effetti sulla configurazione delle figure criminose internazionali, sui principi fondamentali in materia penale, sull’ambito dell’intervento punitivo e sulle dinamiche tra i poteri che in esso partecipano. Si delinea in tal senso una netta distinzione tra la critica degli errori argomentativi e degli effetti perniciosi della tendenza espansiva e la valutazione positiva che merita la tendenza riduttrice/chiarificatrice.

Dall’altra parte, questo studio vuole anche segnalare l’importanza della tipicità, specialmente nella sua dimensione dinamica (che si dispiega nel giudizio di corrispondenza realizzato dal giudice tra i fatti concreti e la disposizione legislativa), e suggerirne la piena valorizzazione nella sfera del diritto penale internazionale. Sebbene quest’area giuridica abbia tradizionalmente ignorato il principio di tipicità, l’analisi della giurisprudenza latino-americana conferma che si tratta di uno strumento prezioso per mantenere o recuperare, in quest’ambito, la dimensione garantista del diritto penale moderno. Si propone quindi di rafforzare la tipicità dei crimini internazionali, mediante l’azione sinergica dei poteri legislativo e giudiziario nazionali, oltre che delle istituzioni internazionali competenti, cosicché venga delimitata chiaramente e legittimata l’area di rilevanza propriamente penale internazionale, blindando al tempo stesso il rispetto per la dimensione garantista che costituisce una delle conquiste più difficili, importanti e necessarie del potere punitivo nella nostra epoca.