Second best? Le commissioni per la verità come meccanismo di giustizia di transizione

Recensione a J. Sarkin (a cura di), The Global Impact and Legacy of Truth Commissions, Intersentia, Cambridge-Antwerp-Chicago, 2019

Sono passati poco più di trent’anni da quando l’espressione “transizione alla democrazia” iniziò ad essere usata in ambito politologico e ancor meno tempo dall’introduzione del termine “giustizia di transizione” in ambito strettamente giuridico. Eppure, questa ultima, come ambito disciplinare, è oggi già sotto attacco e, secondo taluni, forse addirittura superata. Ciò avviene, paradossalmente, mentre il suo spettro applicativo e le definizioni sono al centro di una dinamica espansiva. Ciò vale sia per la nozione di “transizione” - non più solo post-bellica o post-dittatoriale - che per quella di “giustizia”, che oggi include un catalogo di strumenti amplissimo: non più solo il diritto penale, ma anche riforme delle forze di polizia, creazione di memoriali, musei, giornate commemorative sino al contrasto delle iniquità distributive. La giustizia di transizione, d’altro canto, ha dato luogo ad un vero e proprio establishment di o.n.g., accademici, riviste; al tempo stesso, essa ha cambiato il proprio ethos, da alternativa a strumento complementare rispetto al diritto penale[1]. Tuttavia, la giustizia di transizione, si diceva, è anche in una fase di crisi.

Dopo l’euforia creativa della c.d. seconda fase[2], sorta a partire dagli anni ’80 nella vigenza di molti provvedimenti di amnistia, da alcuni anni si registra invece, come noto, un ritorno di pressanti istanze retributive, facenti capo, in particolare, ai gruppi delle vittime, a molte o.n.g., alla Corte Interamericana dei Diritti Umani. Tali istanze retributive hanno molteplici fondamenti, che non possono essere qui riassunti, e che non si legano solo alla richiesta di punizione dei colpevoli, ma anche alla convinzione che la “qualità” della verità che deriva dal processo penale sia migliore rispetto a quella prodotta, ad esempio, dalle commissioni per la verità; infine, si accusano gli strumenti transizionali di non riuscire ad affrontare le radici socio-economiche del conflitto, in particolare quelle legate alla globalizzazione e al ruolo del capitalismo occidentale. Tutte queste critiche sono mosse alla giustizia di transizione in generale, ma anche al meccanismo che, dalla Comisión Nacional sobre la Desaparición de Personas (CONADEP) argentina alla Truth and Reconciliacion Commission (TRC) sudafricana, ha costituito il principale frutto creativo della seconda fase: le commissioni per la verità[3].

Ecco perché è particolarmente significativo il volume The Global Impact and Legacy of Truth Commissions, curato dal celebre esperto di diritti umani, Jeremy Sarkin. A diciannove anni dalla monografia di Priscilla Hayner[4], che per prima forniva una sistematizzazione dell’esperienza delle commissioni per la verità, il volume di Sarkin ne offre un bilancio attuale, partendo proprio dalla constatazione che oggi esse vengono viste come «‘second best’ mechanism to judicial punishment»[5]. Il lavoro di sistematizzazione richiede innanzitutto di cominciare dalla questione definitoria[6] di questi meccanismi, che sono tanto vari come i Paesi che li hanno istituiti: si sostiene addirittura che essi possano avere fino a venticinque funzioni diverse[7]. Questo testo valuta l’impatto (impact) e l’eredità (legacy) delle commissioni per la verità[8]. Il primo concetto viene inteso nel breve termine, mentre il secondo ha un doppio profilo sul lungo periodo: sia con riferimento all’effetto che la commissione ha sull’evoluzione della giustizia di transizione in generale, sia sullo specifico Paese in cui ha operato. Il libro di Jeremy Sarkin ha il merito di distinguersi da molti altri lavori sulle commissioni per la verità, focalizzati sempre e solo sul secondo profilo, quello nazionale. Qui ci si sforza invece di portare avanti la riflessione sistematica sull’esperienza delle commissioni per la verità, tramite un uso prezioso della comparazione.

Il libro si compone di un’introduzione e di dieci contributi.

Il primo capitolo, curato da Filipa Raimundo e Joana Rebelo Morais, ha il pregio di introdurre il lettore al tema, tramite una raccolta critica di svariati studi dottrinali sulle commissioni per la verità (si considerano venti Paesi), mentre il secondo di Anita Ferrara, mette a fuoco la carenza di elaborazione dottrinale di indici valutativi sul lungo periodo. In particolare, questo contributo è  interessante perché indaga il rapporto fra l’uso di una commissione per la verità ed altri meccanismi transizionali. Si veda il riferimento ai dati[9] secondo cui almeno due terzi dei Paesi che hanno avuto una commissione per la verità (e tutti i paesi latinoamericani) hanno utilizzato anche lo strumento penale. Interessante e ancora molto da approfondire è poi, per un penalista, la questione dell’uso dei report delle commissioni per la verità all’interno di processi penali successivi, come fece il giudice Garzon nel processo spagnolo a Pinochet, sulla base dei lavori della commissione cilena. Come evidenziato dall’Autrice, ancora poco investigato è il tema della giudizializzazione delle commissioni per la verità, trasformate quasi, ex post, in commissione istruttorie per il successivo lavoro della pubblica accusa.

 Il terzo capitolo, scritto da Susanne Buckley-Zistel, si focalizza sui report che le commissioni hanno prodotto e diffuso a mezzo web; in particolare si analizza come questi testi abbiano riprodotto le testimonianze in tema di violenza sessuale e l’eredità globale che ne è derivata sulla percezione collettiva dell’uso della violenza sessuale nell’ambito dei conflitti e delle repressioni sistematiche. Il quarto capitolo, a firma di Elin Skaar, analizza un’attività tradizionalmente trascurata del lavoro delle commissioni (nello specifico latinoamericane): quella delle raccomandazioni ai governi, essenzialmente tese alla riparazione e alla non ripetizione. Conseguentemente, Luke Moffet attua una verifica critica della fase successiva: l’esecuzione delle misure riparative nei confronti delle vittime, indagando in particolare il rapporto fra riparazione e verità (non a caso il bel titolo del suo capitolo è In the Aftermath of Truth).

A Brianne McGonigle Leyh, invece, il compito difficile di affrontare le critiche attuali alla giustizia di transizione: il contributo delle commissioni per la verità alla giustizia sociale. L’Autrice suggerisce, in particolare, di integrare le commissioni in un approccio olistico, che consenta di passare da una mera pace negativa, intesa come non conflitto, ad una situazione di pace positiva, che implica una trasformazione sociale sostanziale. McGonigle individua un primo tentativo in tal senso nel modello colombiano[10].

Il capitolo sesto, di Erin Daily, indaga il rapporto fra commissioni, inclusione e dignità umana.

Nel suo capitolo come Autore, il curatore e grande esperto di giustizia di transizione, Jeremy Sarkin, riflette su un tema che, dopo la celebrata unicità sudafricana, è stato quasi dimenticato: il rapporto fra commissioni per la verità e concessione di amnistia; un potere che, in quel caso specifico, il governo aveva delegato alla commissione stessa. Proprio questa mancanza di controllo avrebbe, secondo l’Autore, scoraggiato i governi di altri Paesi. Se tuttavia l’esperienza sudafricana resta unica, altre commissioni hanno avuto il potere di raccomandare l’amnistia. L’Autore si sofferma dunque sulle esperienze di Grenada, Timor Est, Indonesia-Timor Est, Liberia, Kenya, Corea.

Eric Wiebelhaus-Brahm esplora un tema molto attuale, quale la giustizia di transizione senza transizione: le commissioni per la verità operanti molti anni dopo le transizioni o nell’ambito di democrazie consolidate, ad esempio in riferimento a un passato coloniale. Infine, il decimo capitolo si occupa delle commissioni per la verità non ufficiali, come le raccolte di testimonianze, di archivi delle vittime, memoriali, esumazioni etc., quando queste iniziative non siano volute e controllate dagli Stati.

In conclusione, si tratta di un volume in controtendenza rispetto agli studi attuali che vedono, da un lato, la dottrina della giustizia di transizione sempre più dispersa nel particolarismo di singole esperienze locali e, dall’altro, crescenti istanze retributive che rivendicano un monopolio della giustizia penale nella gestione delle transizioni politiche.

Il testo merita di essere letto e ha certamente il pregio di coniugare una sistematizzazione con un’analisi critica in una prospettiva costruttiva, tesa a sfruttare a pieno il potenziale di un importante strumento transizionale come le commissioni per la verità.

 

[1] Per un’analisi critica della c.d. terza fase della giustizia di transizione, si veda P. Gready, The era of transitional justice. The aftermath of the Truth and Reconciliation Commission in South Africa and beyond, Routledge, Abingdon-New York, 2011, 5.

[2] Quanto alla suddivisione in fasi della storia della giustizia di transizione, si rinvia a R.G. Teitel, Globalizing transitional justice, OUP, Oxford, 2014, 110; sia inoltre consentito di richiamare P. Caroli, Il potere di non punire. Uno studio sull’amnistia Togliatti, E.S.I., Napoli, 2020, 21 e ss.

[3] In questo senso, J. Sarkin, Introduction, in The Global Impact and Legacy of Truth Commissions, a cura di Id., Intersentia, Antwerp-Cambridge-Chicago, 2019, 1-43, 3.

[4] P.B. Hayner, Unspeakable Truths. Confronting state terror and atrocity, Routledge, New York-Abingdon, 2001.

[5] J. Sarkin, Introduction, cit., 1.

[6] Sulle differenti definizioni fornite da Hayner, Freeman e Dancy, Kim e Wiebelhaus-Brahm, Sarkin, ivi, 14 e ss.

[7] Così A. Borer, Truth telling as a Peace-Building Activity, in Telling the Truths: Truth Telling and Peace Building in Post-Conflict Societies, a cura di Id., University of Notre Dame Press, Notre Dame IN, 2006 17 e ss. Fra di esse amnistia, scuse pubbliche, confessione, cultura dei diritti umani, non ripetizione, riconciliazione, retribuzione, riparazione etc. Si veda anche J. Sarkin, Introduction, cit., 27 e ss.

[8] Ivi, 20 e ss.

[9] A. Ferrara, Assessing the long-term impact and legacy of truth commissions, in The Global Impact, cit., 75-97, 83; con riferimento a K. Sikkink - C.B. Walling, The Impact of Human Rights Trials in Latin America, in Journal of Peace Research, 2007, 427 e ss., 430.

[10] B. McGonigle Leyh, Truth Commission and social justice, in The Global Impact, cit., 169-188, 186.