CGUE, Grande Sezione, sentenza 2 febbraio 2021, C-489/19, D.B. c. CONSOB
L’evoluzione tecnologica ha aperto il varco, nel settore penalistico, a nuovi scenari problematici. Anche in ambito finanziario si assiste ad un mutamento delle tradizionali modalità operative, con conseguenze rilevanti nel settore dell’abuso di mercato. In particolare, la difficoltà di distinguere l’azione umana da quella dei programmi informatici è aggravata dal ricorso ai cd. algoritmi ad alta frequenza (HFT), caratterizzati dalla velocità di acquisizione ed elaborazione delle informazioni e dalla peculiare autonomia “decisionale” rispetto ad eventuali istruzioni impartite dai soggetti-persone fisiche. Il presente studio si pone pertanto l’obiettivo di verificare, anche alla luce della normativa europea, l’adeguamento delle fattispecie previste in materia di market abuse ai mutamenti determinati dall’innovazione tecnologica, nonché di valutare la compatibilità del sistema di negoziazione mediante HFT rispetto all’irrinunciabile principio di personalità della responsabilità penale.
Le modifiche alla disciplina italiana degli abusi di mercato in attuazione del Reg. (UE) 596/2014 si innestano in un settore travagliato e al centro del recente dibattito dottrinale e giurisprudenziale, che ha coinvolto anche le Corti europee. Le soluzioni adottate dal d. lgs. 107/2018 non risultano convincenti, né risolutive delle numerose problematiche che affliggono il comparto del market abuse
Il tema della separazione dei poteri investe anche la tradizionale problematica dell’integrazione tecnica della norma penale. A fronte del classico rapporto tra potere legislativo e potere esecutivo, in cui il primo demanda al secondo di specificare sul piano tecnico gli elementi del precetto, si assiste oggi al ruolo crescente di un’integrazione operata da atti delle authorities, delle istituzioni europee e di soft law, anche in assenza di un vero e proprio rinvio previsto dalla norma. L’applicazione delle fattispecie di abusi di mercato offrono un esempio di tale fenomeno.
Il d. lgs 107/2018 adegua l’ordinamento italiano alle previsioni del reg. (UE) 596/2014 in tema di market abuse. Nonostante la parallela direttiva sulle sanzioni penali per gli abusi di mercato (dir. 2014/57/UE) sia rimasta inattuata, svariate modifiche – dirette e indirette – hanno interessato la disciplina penalistica interna. La tecnica legislativa adoperata in sede di riforma appare criticabile sotto molti aspetti e finisce non soltanto per accentuare le preesistenti problematiche, ma ne crea di nuove e non meno rilevanti
L’articolo offre un’analisi comparata dei sistemi sanzionatori adottati da Italia e da Inghilterra e Galles per la repressione delle condotte illecite di insider dealing. Alla luce della sentenza Grande Stevens e Altri c. Italia, vengono, poi, esaminati gli orientamenti giurisprudenziali e dottrinali sviluppatisi nei due ordinamenti al fine di garantire la piena tutela del fondamentale diritto dell’individuo al ne bis in idem sostanziale, nonché i poteri che i Parlamenti nazionali hanno delegato alle Autorità indipendenti per il controllo dei mercati finanziari. In chiusura vengono, infine, suggerite alcune soluzioni pragmatiche per superare le criticità relative alle ipotesi di bis in idem sostanziale e di eccesso di potere riscontrate negli ordinamenti qui in esame.
La sentenza con la quale Tribunale di Trani si pronuncia sulla responsabilità penale di analisti e manager dell’agenzia Standard & Poor’s per il reato di manipolazione del mercato risulta di particolare interesse, trattandosi della prima volta che l’art. 185 T.U.F. viene contestato in relazione ad un’attività di rating. Tema che si mostra delicato e complesso, in ragione soprattutto della natura eminentemente valutativa del rating e della difficoltà di verificare, sul piano probatorio, la concreta idoneità di un rating incongruo ad alterare le scelte di investimento e, conseguentemente, il prezzo dei titoli valutati.
Il vigente sistema sanzionatorio dell’abuso di informazioni privilegiate e della manipolazione del mercato, imperniato sul ‘doppio binario’ penale e amministrativo, è stato giudicato dalla Corte di Strasburgo incompatibile con il diritto al ne bis in idem di cui all’art. 4, Prot. 7, CEDU nel caso Grande Stevens c. Italia. La sentenza sollecita tanto il giudice (comune e costituzionale) quanto il legislatore italiani ad armonizzare la disciplina italiana agli obblighi internazionali in materia di tutela di ne bis in idem, i quali derivano – oltre che dalla disposizione convenzionale citata – anche dall’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE, che è norma di diritto primario dell’Unione, idonea come tale a produrre effetto diretto negli ordinamenti nazionali. Il presente contributo analizza le possibili vie, de lege lata e ferenda, per giungere a tale risultato, in vista anche dell’imminente decisione della Corte costituzionale in materia e della prossima scadenza della legge delega sul riassetto delle sanzioni in materia di abusi di mercato.
Il Regolamento (UE) 596/2014 e la Direttiva 2014/57/UE intervengono incisivamente sul comparto degli abusi di mercato, attraverso scelte politico-criminali nette che risentono delle elaborazioni sovranazionali sulla “materia penale” e disegnano un sistema sanzionatorio unitario rispettoso del principio del ne bis in idem. Direttiva e Regolamento sono dunque destinati a conformare il diritto punitivo interno sia per quanto concerne la fattispecie di abuso di informazioni privilegiate, sia con riguardo all’ipotesi di manipolazione del mercato. Il legislatore nazionale sarà dunque chiamato a un non facile compito di adeguamento del vigente assetto del market abuse al fine di ottemperare alle prescrizioni eurounitarie.
La sentenza “Grande Stevens” della Corte europea dei diritti dell’uomo e la direttiva 2014/57/EU sulle sanzioni penali in materia di market abuse costringono il legislatore a passare tra Scilla e Cariddi: da una parte, il rispetto del ne bis in idem impone di rivedere la scelta di cumulare, in spregio ai principii di sussidiarietà e specialità, sanzioni penali ed amministrative per il medesimo fatto; dall’altra, l’osservanza degli obblighi europei di criminalizzazione determinerà l’abbandono della più efficiente sanzione amministrativa. La diretta applicabilità della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea garantisce, nelle materie di competenza di quest’ultima, una più avanzata tutela di tali diritti, chiamando in causa l’autorità giudiziaria e la stessa pubblica amministrazione.