La disciplina dei delitti ambientali inseriti nel codice penale induce ad interrogarsi intorno ad alcune questioni relative alla colpevolezza ed ai rapporti tra essa e la pena. In particolare, l’ambigua formulazione del nuovo art. 452-ter c.p. impone di verificare se gli eventi morte e lesioni personali debbano imputarsi a titolo di colpa. Inoltre, l’art. 452-quinquies c.p. stimola interessanti riflessioni sulla proporzione tra colpevolezza e pena.
Il contributo prende spunto dalla discussione sorta attorno alla requisitoria in Cassazione del processo Eternit, per riflettere sulla inclinazione del diritto penale – pur regno della legalità e delle garanzie – a impiegare pa-rametri morali di giudizio e su come tale inclinazione sia stata nel tempo assecondata, se non incoraggiata, dal-la concezione normativa della colpevolezza. Vengono indicati alcuni temi dibattuti, nell’ambito dei quali l’affermazione della responsabilità corre lungo i binari di una sorta di “dimensione parallela” rispetto a quella strettamente riferibile al tipo di legame psichico tra autore e fatto commesso, in cui la ricerca comunque di un rimprovero del reo assottiglia la distinzione tra dolo e colpa. La conclusione non chiude ai nuovi orizzonti di un diritto penale affrancato dalla mitologia dei principi, ma richiama alla moralità stessa insita nel rispetto delle garanzie e dell’eguaglianza dei consociati, nota identitaria della materia.
A fronte dell’aumento esponenziale delle aree di rischio, in cui da un’attività lecita, possono derivare eventi lesivi penalmente rilevanti, le tradizionali categorie della volontà, quali componenti fondanti un’imputazione a titolo di dolo, si dimostrano spesso incapaci di abbracciare i tratti salienti dell’elemento psicologico presente in siffatte ipotesi. Né d’altronde appare sempre soddisfacente un’imputazione che scivoli tout court nell’alveo della colpa, sia pure aggravata dalla previsione dell’evento. L’impatto delle varie soluzioni proposte con la prassi giurisprudenziale si è spesso rivelato macchinoso. Una eloquente esemplificazione della problematica riguarda il caso Thyssen, nell’ambito del quale lo stesso fatto è stato valutato dall’angolo prospettico dei due distinti elementi psicologici, in base a parametri di tipo soggettivo-ipotetico. Ciò dimostra la natura cruciale della questione e, forse, la sua irrisolvibilità: sostanzialmente equipollente sul piano della colpevolezza, il disvalore duale di dolo eventuale e colpa cosciente sfugge spesso già sul piano della tipicità. In contesto così ambiguo, s’impone una scelta: o – in linea con la giurisprudenza prevalente – si rimarca la necessità di distinguere le due forme di elemento soggettivo denotando l’indagine sul coefficiente psicologico di appigli esterni o si rinuncia definitamente a cercarla approdando a un tertium genus di responsabilità colpevole.
L’Autore svolge un confronto tra il principio di colpevolezza e quello di proporzionalità osservandoli dal punto di vista delle rispettive potenzialità e capacità di azione relativamente alla definizione del quantum di pena. All’esito dell’analisi sul possibile raggio di azione del principio di proporzionalità, esaminato alla luce di entrambe le accezioni (proporzionalità in senso ampio e in senso stretto) e attribuitogli, per meri scopi di indagine, il ruolo e le funzioni del principio di colpevolezza, l’Autore ne denuncia l’inadeguatezza e l’insufficienza nell’operazione di quantificazione della pena. Mentre, infatti, mediante il modello della proporzionalità in senso ampio, non si giunge a definire con certezza il quantum di pena necessario rispetto al perseguimento di un determinato fine, il vaglio di proporzionalità in senso stretto si risolverebbe esclusivamente in un controllo ulteriore sulla ragionevolezza di un dato già a disposizione, ed ottenuto mediante il ricorso al principio di colpevolezza. Da qui la seguente considerazione dell’Autore: perché sostituire al principio di colpevolezza quello di proporzionalità se con il primo si raggiungono risultati già più che soddisfacenti?
Il progetto di riforma del codice penale spagnolo dal 2013 introduce una modifica sostanziale del sistema di misure di sicurezza ed include l’ergastolo nell’elenco delle sanzioni penali. Entrambe novità rappresentano una svolta del sistema punitivo verso un “diritto penale della sicurezza”, in contrasto con i principi di colpevolezza, legalità, proporzionalità e rieducazione, interpretati alla luce della Costituzione spagnola e della Convenzione europea dei diritti del uomo.
La sentenza qui annotata – nel giudicare un caso in cui uno dei due coimputati si era prefigurato la commissione di un reato diverso (e meno grave) di quello commesso dall’altro complice – ravvisa un’ipotesi di c.d. concorso anomalo di persone, correttamente subordinando la responsabilità ex art. 116 c.p. ad una valutazione di prevedibilità in concreto del reato diverso, così aderendo ad un recente orientamento giurisprudenziale che interpreta il suddetto articolo in modo sostanzialmente conforme al principio di colpevolezza.