L’A. svolge alcune considerazioni a margine della sentenza con la quale la Corte di cassazione, nell’ambito della vicenda giudiziaria nota come ‘caso Ruby’ (o Rubygate), ormai entrata nella storia degli scandali della vita politica italiana, ha assolto l’ex Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi dai reati di concussione e prostituzione minorile. La Cassazione ha in particolare escluso la concussione, difettando una condotta costrittiva, e, in particolare, una vera e propria minaccia rivolta al Capo di Gabinetto del Questore di Milano affinché procurasse il rilascio della ragazza da parte della polizia; ha altresì escluso la prostituzione minorile perché il fatto, pur accertato nella sua materialità, non costituisce reato in quanto realizzato senza la consapevolezza dell’età minore dell’avvenente ragazza. Nel commentare la decisione, l’A. coglie e distingue, nella vicenda, il piano delle valutazioni giuridiche da quello delle implicazioni politico-’morali’.
Nella sentenza annotata, le Sezioni unite penali della Cassazione affrontano il tema, delicato e controverso, della distinzione tra le condotte di costrizione e di induzione di cui, rispettivamente, agli artt. 317 e 319-quater c.p. I criteri discretivi individuati sono molteplici: su tutti, l’entità della pressione psicologica, la presenza/assenza di una minaccia, lo scopo perseguito dal privato, la presenza/assenza del metus publicae potestatis, la pregnanza del bene minacciato. A volte tali criteri vengono ulteriormente articolati, a volte sembrano operare in sinergia, a volte in modo decisamente alternativo tra loro. Non v’è peraltro dubbio che privilegiarne uno oppure un altro conduca frequentemente a risultati opposti. La Corte, consapevole di ciò, rileva come nei casi controversi debba optarsi per il criterio maggiormente rispondente al caso di specie: una “fuga” dalla nomofilachia che rischia di travolgere non pochi principi fondamentali.
La ristrutturazione normativa del delitto di concussione ha aperto, nel diritto vivente, un vivace dibattito sui possibili tratti distintivi tra il nuovo art. 317 c.p. e la ormai nota ipotesi di induzione indebita. I diversi orientamenti ermeneutici maturati in brevissimo tempo hanno reso necessario, sul punto, un ponderoso intervento delle Sezioni unite della Corte suprema di cassazione che, nell’ambito di una rigorosa dommatica giurisprudenziale, pure non mancano, a ben vedere, di porre le basi per il recupero di una nomofilachia delle norme sulla nomofilachia dei casi. Infatti, il possibile ricorso a (de)penalizzazioni in concreto affidate ad una politica giudiziaria in nome di una pur invocata tenuta del sistema sembra, per ipotesi di “induzione non costrittiva vittimizzante”, confermare la necessità di ripensare una ‘riforma delle riforme’ che, al riparo da torsioni (in)sopportabili della legalità, sappia radicare nel dato normativo opzioni razionali di politica criminale.
L’introduzione con la l. n. 190/2012 della nuova fattispecie di “induzione indebita a dare o promettere utilità” (art. 319-quater c.p.), caratterizzata dall’assoggettamento a pena del privato che ceda alla pressione abusiva del pubblico agente, ha provocato un forte disorientamento nella giurisprudenza di legittimità, attestato dall’emersione di tre diversi indirizzi interpretativi in ordine alla linea di demarcazione con la riformata concussione (art. 317 c.p.). In questo saggio si sostiene che, per effetto della novella, non sono mutate le nozioni di base di “costrizione” e “induzione”, che continuano ad essere imperniate sulla maggiore o minore gravità della pressione psichica esercitata sul privato; sono cambiati, invece, i parametri normativi attorno ai quali fondare una distinzione coerente, sul piano assiologico e politico-criminale, con l’invertita posizione penale del privato nelle due ipotesi di reato. In quest’ottica, appare maggiormente plausibile l’orientamento giurisprudenziale c.d. intermedio, il quale valorizza, in funzione integrativa, i criteri del danno ingiusto minacciato dall’intraneus (concussione) e del vantaggio indebito perseguito dall’extraneus (induzione). Realmente decisivo a fini discretivi diviene, così, lo ‘spazio di libera determinazione’ lasciato al privato, che nella costrizione è estremamente ridotto, giacché limitato alla scelta tra due mali parimenti ingiusti, mentre nell’induzione offre ancora – nonostante l’abuso – margini decisionali improntati al rapporto costi-benefici personali, e cioè al perseguimento di vantaggi indebiti, specifici o indeterminati.
L’introduzione dell’art. 319-quater mira a risolvere i problemi storicamente posti dalla distinzione tra corruzione e concussione. Pur sorretta da uno spunto condivisibile, quella disposizione, per il modo in cui è concretamente concepita, finisce tuttavia per sollevare un novero di questioni fors’anche superiore rispetto a quelle che contribuisce a risolvere. Gli stessi problemi si sarebbero potuti assai più agevolmente risolvere, già in vigenza del precedente sistema, sol che si fosse accettato di superare il dogma della mutua esclusività di quelle due fattispecie.