L’incessante scambio di dati ed informazioni nel mondo del web ha imposto una rivisitazione dei paradigmi classici del bene giuridico della privacy. Emblematico è, in tal senso, il reato di trattamento illecito dei dati personali, di cui all’art. 167 Codice privacy (D. Lgs. 196/2003), oggetto di numerosi interventi correttivi per adeguarlo alle moderne e mutevoli esigenze di tutela. L’indagine riflette dunque sulla recente riforma (D. Lgs. 101/2018) che sembra voler recuperare l’offensività del tipo delittuoso attraverso la formulazione di un reato di evento il cui disvalore è incentrato sul nocumento all’interessato: tuttavia, in modo apparentemente inconciliabile, viene mantenuto un dolo specifico di danno, che si sovrappone al risultato materiale conseguito dall’agente. Infine, si cerca di dimostrare come stia emergendo una nuova oggettività giuridica di carattere pubblicistico, ossia il sistema di protezione dei dati personali, la cui tutela è demandata agli artt. 167-bis e 167-ter.
Il caso concernente il disastro della nave turistica Costa Concordia riveste particolare interesse penalistico nell’ottica dei confini concettuali della colpa con previsione dell’evento ex art. 61, n. 3, c.p., che la sentenza definitiva della Cassazione ha affrontato dal punto di vista del discrimine con la forma immediatamente “inferiore” di colpa, quella semplice o comune, anziché con l’ipotesi di elemento psicologico “superiore”, il dolo eventuale. L’analisi dell’arresto in discorso rappresenta, così, un’occasione propizia per recuperare una nozione più comprensiva della forma aggravata di colpa, non appiattita sui profili discretivi con il dolus eventualis, ed altresì per saggiare l’impatto del dictum delle Sezioni Unite in ThyssenKrupp sulla successiva elaborazione giurisprudenziale.
Oggetto di questo contributo è la rilevanza attribuita alle c.d. migliori tecniche disponibili (Best available techniques) nella previsione e nell’accertamento degli illeciti penali in materia di ambiente. Per affrontare tale problematica occorre anzitutto chiarire cosa siano le BAT e come operino nel sistema ambientale, per poi valutare in che termini esse interessino il diritto penale. La risposta a quest’ultima domanda non potrà prescindere da una riflessione sulla natura delle BAT, la cui individuazione, apparentemente frutto di una scelta meramente tecnica, coinvolge anche considerazioni politico-economiche.
La disciplina dei delitti ambientali inseriti nel codice penale induce ad interrogarsi intorno ad alcune questioni relative alla colpevolezza ed ai rapporti tra essa e la pena. In particolare, l’ambigua formulazione del nuovo art. 452-ter c.p. impone di verificare se gli eventi morte e lesioni personali debbano imputarsi a titolo di colpa. Inoltre, l’art. 452-quinquies c.p. stimola interessanti riflessioni sulla proporzione tra colpevolezza e pena.
A circa due anni dall'entrata in vigore della novella che ha introdotto il reato di “Falso in attestazioni e relazioni” con l'art. 236-bis della Legge Fallimentare, giunge la prima pronuncia (edita) sul tema. Si tratta di un'ordinanza interdittiva, emessa in una cornice fattuale da “caso limite” per la macroscopica tipicità delle condotte contestate: i fatti ad oggetto rendono la pronuncia di particolare interesse, specie se letta all'interno della cornice creata dalla giurisprudenza fallimentare sul tema delle attestazioni e delle relazioni del professionista, nonché dalla pubblicazione da parte del Consiglio nazionale dei Dottori commercialisti e degli Esperti contabili dei “Principi di attestazione dei piani di risanamento”. Un nuovo “caso Busiello”, di cui ci si è proposto di analizzare dati fattuali, percorsi motivazionali dell'estensore, nonchè possibili termini di applicazione futura dei dicta, specie in materia di prova del dolo. Alla ricerca quindi di un corretto inquadramento sistematico di una norma purtroppo mal scritta, dal contenuto potenzialmente deflagrante per tutto il sistema delle soluzioni concordate della crisi d'impresa.
L’orientamento prevalente della giurisprudenza del Bundesgerichtshof tende a restringere i confini del dolo. In situazioni d’incertezza sull’effettivo accertamento della componente volitiva, il Bundesgerichtshof finisce spesso per negare la sussistenza del dolo (in dubio pro culpa), dando rilevo alla spontaneità, all’avventatezza, all’impeto o allo stato di alterazione emotiva del reo (c.d. teoria della soglia di inibizione – Hemmschwellentheorie). Alla luce della recente sentenza delle Sezioni unite sul caso Thyssen, la teoria della soglia d’inibizione sembra aver trovato accoglimento anche nell’ordinamento italiano.
Giurisprudenza e dottrina sono storicamente divise sul ruolo da assegnare alla dichiarazione giudiziale d’insolvenza rispetto ai delitti di bancarotta. Le Corti annoverano la sentenza dichiarativa di fallimento tra gli elementi costitutivi del reato, senza però trarne tutte le implicazioni di carattere sistematico e giungendo talvolta a risultati interpretativi eccentrici. L’impostazione prevalente in dottrina, secondo cui il fallimento è condizione obiettiva di punibilità, non soltanto risulta più coerente sotto il profilo dogmatico, ma a ben vedere si sottrae anche alle possibili criticità concernenti l’individuazione del tempus e del locus commissi delicti.
Prendendo occasione dai passi conferenti della sentenza sul caso Parmalat-Capitalia, lo scritto ripercorre la struttura della fattispecie di bancarotta fraudolenta impropria societaria di cui all’art. 223, cpv., n. 2 legge fall. e si prefigge lo scopo di evidenziarne i punti di criticità, i nodi esegetici irrisolti ed il ruolo nel generale contesto del diritto penale delle procedure concorsuali.
A fronte dell’aumento esponenziale delle aree di rischio, in cui da un’attività lecita, possono derivare eventi lesivi penalmente rilevanti, le tradizionali categorie della volontà, quali componenti fondanti un’imputazione a titolo di dolo, si dimostrano spesso incapaci di abbracciare i tratti salienti dell’elemento psicologico presente in siffatte ipotesi. Né d’altronde appare sempre soddisfacente un’imputazione che scivoli tout court nell’alveo della colpa, sia pure aggravata dalla previsione dell’evento. L’impatto delle varie soluzioni proposte con la prassi giurisprudenziale si è spesso rivelato macchinoso. Una eloquente esemplificazione della problematica riguarda il caso Thyssen, nell’ambito del quale lo stesso fatto è stato valutato dall’angolo prospettico dei due distinti elementi psicologici, in base a parametri di tipo soggettivo-ipotetico. Ciò dimostra la natura cruciale della questione e, forse, la sua irrisolvibilità: sostanzialmente equipollente sul piano della colpevolezza, il disvalore duale di dolo eventuale e colpa cosciente sfugge spesso già sul piano della tipicità. In contesto così ambiguo, s’impone una scelta: o – in linea con la giurisprudenza prevalente – si rimarca la necessità di distinguere le due forme di elemento soggettivo denotando l’indagine sul coefficiente psicologico di appigli esterni o si rinuncia definitamente a cercarla approdando a un tertium genus di responsabilità colpevole.