Come chiamare la condotta di chi rivela informazione che altrimenti rimarrebbe sepolta, per poi seppellirla di nuovo dopo essere stati pagati? Ricatto è probabilmente la risposta più intuitiva. Attività improduttiva è la più bizzarra, a meno di essere un economista. Business è la risposta quando è in gioco un pettegolezzo che riguarda persone famose. Eppure, in Italia, nessuna di queste risposte è corretta. In Italia, l’atto di rivelare informazione per poi riseppellirla una volta pagati si chiama estorsione, ed è un reato che prevede una sanzione severa. Partendo da un caso che ha fatto scalpore – il caso di Fabrizio Corona – l’articolo analizza il diritto penale italiano in materia di estorsione, discutendo i valori che ne giustificano la severa punizione e le conseguenze che produce l’assenza di un reato di ricatto. Quindi, il lavoro esplora gli aspetti economici di tale condotta e mostra che, con un mercato del gossip, essa può essere un comportamento efficiente. Successivamente, l’articolo discute il conflitto tra diritto all’immagine e benessere sociale come valori alla base, rispettivamente, del diritto penale (italiano) e dell’analisi economica del diritto. Infine, sulla base di tali assunti, il lavoro suggerisce come riformare in modo ottimale il diritto penale italiano a proposito di tale condotta
Secondo il Tribunale di Roma, gli atti di violenza o minaccia realizzati dalla prostituta per costringere il cliente a pagare la prestazione sono riconducibili alla previsione dell’art. 610 c.p. (violenza privata) ma non integrano il delitto di estorsione, per difetto del requisito dell’ingiusto profitto realizzato dall’agente. Il Tribunale giunge a questa condivisibile conclusione seguendo un percorso argomentativo inedito nella giurisprudenza: l’ingiustizia del profitto difetterebbe non già perché (tesi tradizionale, risalente almeno ad Antolisei) – a fronte di una prestazione contraria al buon costume – la pretesa della prostituta è indirettamente tutelata dall’ordinamento attraverso la soluti retentio (art. 2035 c.c.), bensì perché, in conseguenza della prostituzione – oggi non più inquadrabile tra le prestazioni contrarie al buon costume –, sorgerebbe in capo alla prostituta un vero e proprio diritto ad essere retribuita, percependo un profitto, per l’appunto, giusto. La decisione fornisce all’A. l’occasione per alcune riflessioni sul concetto di ‘ingiusto’ profitto nell’estorsione e nei delitti contro il patrimonio, nonché sui rapporti tra estorsione, violenza privata ed esercizio arbitrario delle proprie ragioni.
Ai fini dell’integrazione della circostanza aggravante speciale delle “più persone riunite” nel delitto di estorsione è necessaria la contemporanea presenza di più persone nel luogo ed al momento in cui si eserciti la violenza o la minaccia; a tale conclusione inducono sia l’interpretazione letterale, rispettosa del principio di legalità nella duplice accezione della precisione-determinatezza della condotta punibile e del divieto di analogia in malam partem, sia il criterio logico-sistematico fondato sulla ratio dell’aggravante risiedente nel maggiore effetto intimidatorio della condotta con conseguente minorata possibilità di difesa della vittima.