Il report e la comunicazione di tre organizzazioni non governative sollecitano l’avvio di indagini di fronte alla Corte penale internazionale
Comitato per i diritti umani, A.S. e altri contro Italia e Malta, comunicazione n. 3043/2017, decisione (Malta, CCPR/C/130/D/3042/2017) e osservazioni (Italia, CCPR/C/128/D/3043/2017) del 27 gennaio 2021
Il presente contributo affronta la nota questione della c.d. “criminalizzazione della solidarietà” nei confronti di migranti irregolari e richiedenti asilo in una duplice prospettiva: da un lato ricostruisce la dimensione prasseologica del problema, esaminando la casistica più recente e soffermandosi sulle questioni esegetiche, spesso a cavallo tra discipline appartenenti a rami diversi dell’ordinamento, con le quali gli interpreti sono oggi chiamati a confrontarsi; dall’altro lato mette in luce una serie di vizi di illegittimità che, ad avviso dell’autore, affliggono tanto la disciplina europea in materia di contrasto al favoreggiamento dell’immigrazione irregolare, quanto le norme incriminatrici che ne costituiscono attuazione sul piano nazionale, in primis l’articolo 12 del testo unico immigrazione
L’odierno status dei richiedenti protezione ricorda, arendtianamente, quello di soggetti titolari di diritti umani solo astrattamente ma concretamente sprovvisti di qualsiasi tutela. Questa condizione di apolidia di fatto è anche il frutto dalla perdita di autonomia giuridico-dogmatica dell’asilo costituzionale la cui finalità originaria era l’emancipazione politica del richiedente al quale veniva potenzialmente aperto l’accesso alla stessa cittadinanza. La finalità dell’odierno asilo umanitario è, invece, quella soprattutto di soccorrere una nuda vita sofferente e traumatizzata. Con il declino della ragione umanitaria e l’ascesa della ragione securitaria il programma di de- soggettivizzazione del richiedente protezione raggiunge il suo apice, assumendo, specie dopo i decreti legge sicurezza, la forma di un vero e proprio razzismo istituzionale
Il lavoro esamina le garanzie sostanziali e procedurali che circondano la libertà personale dello straniero nell’ambito delle politiche di controllo dell’immigrazione irregolare, con particolare riguardo al problema delle detenzioni di fatto nelle zone di frontiera. In assenza di un rimedio generale di habeas corpus nell’ordinamento italiano, l’autrice si interroga sull’esistenza di strumenti efficaci di tutela avverso le misure coercitive extra ordinem, soffermandosi sulla più recente casistica relativa ai trattenimenti nei centri hotspot, nonché a bordo di navi militari e private nel quadro della “politica dei porti chiusi”. Il contributo esamina tanto le prassi delle autorità di frontiera quanto le più recenti novità normative in materia, adottando un taglio interdisciplinare che tiene conto dei rilevanti profili di diritto penale e amministrativo, nonché degli aspetti inerenti alla tutela sovranazionale dei diritti umani
Il contributo, attraverso un’analisi strutturale dell’articolo 12 del Testo unico sull’Immigrazione (che punisce il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina) e dell’articolo 601 del Codice penale (concernente il traffico di esseri umani), si propone di dimostrare che le disposizioni in esame costituiscono due ingranaggi vitali di un meccanismo legale progettato per il contrasto alla mobilità umana non regolamentata nel suo insieme. In particolare l’articolo segue due linee di ragionamento parallele: la prima orientata a mettere in evidenza le modalità in cui i contenuti dell’articolo 12 vengono strumentalizzati al fine di condurre azioni penali verso operatori umanitari attivi nel mediterraneo e sul territorio, la seconda mira a mettere in risalto come l’abuso della medesima norma consenta il mancato riconoscimento delle vittime di tratta da parte delle autorità italiane e, conseguentemente, ne derivi il mancato adempimento degli obblighi internazionali contratti con la firma e la ratifica dei Protocolli della Convenzione di Palermo.