Il contributo, attraverso un’analisi strutturale dell’articolo 12 del Testo unico sull’Immigrazione (che punisce il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina) e dell’articolo 601 del Codice penale (concernente il traffico di esseri umani), si propone di dimostrare che le disposizioni in esame costituiscono due ingranaggi vitali di un meccanismo legale progettato per il contrasto alla mobilità umana non regolamentata nel suo insieme. In particolare l’articolo segue due linee di ragionamento parallele: la prima orientata a mettere in evidenza le modalità in cui i contenuti dell’articolo 12 vengono strumentalizzati al fine di condurre azioni penali verso operatori umanitari attivi nel mediterraneo e sul territorio, la seconda mira a mettere in risalto come l’abuso della medesima norma consenta il mancato riconoscimento delle vittime di tratta da parte delle autorità italiane e, conseguentemente, ne derivi il mancato adempimento degli obblighi internazionali contratti con la firma e la ratifica dei Protocolli della Convenzione di Palermo.
La magistratura italiana si è ampiamente interessata, nel corso degli ultimi anni, ai fenomeni di tratta e traffico di migranti, connotati da un deficit assoluto di strumenti di tutela negli Stati del continente africano dove essi hanno origine. L’articolo, dopo aver analizzato criticamente le recenti vicende nelle quali lo ius puniendi è stato esercitato nei confronti di organizzazioni non governative, passa in rassegna taluni dei principali filoni giurisprudenziali, distinguendo tra esercizio della giurisdizione per fatti territoriali e per fatti extraterritoriali. In relazione al primo caso, si assiste ad una costante dilatazione del paradigma della territorialità anche per ipotesi di favoreggiamento all’immigrazione illegale – di cui all’art. 12 del D.Lgs. n. 286/1998 – realizzate in acque internazionali, in particolare ricorrendo alla c.d. teoria dell’autore mediato. Con riferimento ai fatti extraterritoriali, si assiste ad un ricorso all’art. 7 c.p., in combinato disposto con disposizioni internazionali o interne che consentono la punibilità incondizionata, e all’art. 10 c.p. per reati commessi dallo straniero all’estero ai danni di altro straniero. La strada della internazionalizzazione della risposta è tuttavia tracciata, anche nella logica di una maggiore corresponsabilizzazione della comunità internazionale nella gestione di un fenomeno che trascende le frontiere dei singoli Paesi occidentali ma che li riguarda in egual misura
Benché il discorso pubblico continui a richiamare una emergenza immigrazione, lo studio muove dai dati della consistenza reale del fenomeno, fortemente decrescenti nell’ultimo anno e mezzo. Si avverte poi l’esigenza di rivisitare la rilevanza penalistica del migrante irregolare, per superare la sua considerazione come mero oggetto del relativo trafficking, e si propone di mantenere invece un aggancio alla sua condizione di persona, che svolge il ruolo di soggetto necessario del favoreggiamento all’immigrazione clandestina, ancorché diverso dall’autore del relativo fatto di reato. Ciò consente di inquadrare meglio anche i relativi diritti nella delicata fase dell’accoglienza, e di passare poi all’esame del controllo amministrativo e penale in materia. Si esaminano in conclusione i fatti di soccorso in mare dei migranti irregolari e si segnalano alcune contraddizioni dei più recenti sviluppi della politica criminale in materia
Il testo presenta il tema dei traffici illeciti nel Mediterraneo, oggetto del VIII Corso “Giuliano Vassalli” per dottorandi, svoltosi a Noto nel 2017, anche in relazione ai contributi dei partecipanti ai lavori, una selezione dei quali viene di seguito pubblicata.
Nel contrasto del traffico di migranti attraverso gli strumenti penalistici, il sequestro preventivo e la confisca dei mezzi impiegati per la commissione del reato e dei proventi dello stesso rivestono un ruolo particolarmente significativo. La necessità di fronteggiare delitti spesso commessi da soggetti appartenenti ad organizzazioni criminali operanti in una pluralità di Stati, e le quali agiscono in modo tale da eludere la giurisdizione dello Stato di arrivo dei migranti, rendono indispensabili forme di cooperazione in ambito europeo e internazionale. Il presente lavoro prende in esame gli aspetti di tale collaborazione ritenuti di maggiore rilievo, cercando di porre in evidenza alcuni profili problematici connessi alle peculiari caratteristiche del fenomeno criminoso in esame.
Il presente contributo mira a ricostruire la disciplina penalistica italiana di contrasto al fenomeno del traffico internazionale di persone – considerato nelle sue due componenti del trafficking of human beings (tratta di persone) e dello smuggling of migrants (favoreggiamento dell’immigrazione clandestina) -, al fine di verificarne l’effettività della tutela apprestata e la congruenza rispetto agli obblighi internazionali e sovranazionali. Il tutto nella consapevolezza che la lotta al fenomeno in esame richiede politiche integrate e il coinvolgimento della comunità internazionale.
Il presente articolo analizza criticamente la legislazione europea sul reato di traffico di migranti. Secondo l’opinione dell’autore, il legislatore comunitario e la maggioranza dei paesi europei hanno ritenuto che questo specifico illecito, regolamentato anche a livello internazionale dalla Convenzione di Palermo, coincidesse con la figura di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare. Questa indebita sovrapposizione tra diverse fattispecie di reato genera molteplici e complessi problemi. Nella prima parte dell’articolo si analizzano i requisiti del reato di traffico di migranti nel diritto internazionale, con particolare riferimento al fine di profitto. Nella seconda parte si evidenziano le ragioni per cui non è possibile concepire questo delitto come avente la medesima funzione del reato di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare. In conclusione, l’articolo propone di distinguere chiaramente gli elementi costitutivi delle due figure criminose e i rispettivi ambiti di applicazione.
Il presente contributo vuole interrogarsi sugli ipotizzabili margini di rilevanza penale delle condotte di assistenza prestate dagli operatori del soccorso in mare (specie se appartenenti a O.N.G.) in favore dei migranti intercettati nel Mar Mediterraneo e trasferiti sulle coste italiane. Tale analisi, che necessariamente presupporrà la ricognizione dei numerosi obblighi nazionali e internazionali presenti nel nostro ordinamento in tema di ricerca e soccorso in mare, muoverà dall’esame dei rapporti tra le ordinarie e lecite operazioni di salvataggio e il delitto di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, per poi prendere in considerazione l’eventualità – prospettatasi in occasione dei recenti casi giudiziari che hanno interessato il nostro Paese, a partire dal procedimento penale che ha visto il sequestro della nave Iuventa, appartenente alla O.N.G. Jugend Rettet – che vengano accertate a carico dei soccorritori condotte, ulteriori e diverse rispetto a quelle strettamente attinenti alle attività di salvataggio, concretamente idonee a supportare una loro responsabilità ai sensi dell’art. 12 t.u. imm.
I trafficanti di esseri umani si avvalgono con sempre più insistenza di ben collaudati protocolli operativi. Questi ultimi consentono loro di sottrarsi alla giurisdizione penale italiana che non si radica qualora – in ossequio ai criteri di cui all’art. 6 c.p. ed in conformità alla Convenzione sull’Alto Mare – l’azione illecita avvenga in acque internazionali. Così, premesse alcune linee concettuali sui limiti spaziali alla efficacia della legge penale, l’indagine si sofferma sulla soluzione ermeneutica offerta dalla Cassazione che, apparentemente in modo sbrigativo e per esigenze di effettività della risposta punitiva, ha fatto ricorso alla controversa figura dell’autore mediato per sanzionare condotte di favoreggiamento che si avvalgono strumentalmente dell’intervento di soccorso delle autorità costiere per realizzare il proprio intento criminoso. Per rafforzare l’ancoraggio del reato di cui all’art. 12 T.U. imm. al territorio italiano, si propone, dunque, una ricostruzione che faccia opportuno riferimento all’istituto del concorso di persone ed al reato eventualmente permanente. Infine, la necessità di un migliore inquadramento dogmatico della soluzione ermeneutica, unitamente alla propensione universalistica della legge penale in ipotesi di offese a valori globali, potrebbe suggerire una interpretazione evolutiva dell’art. 7 c.p. proiettato oggi alla tutela dell’uomo, secondo moduli ermeneutici rinvenibili anche nel § 6 del codice penale tedesco.
L’insidiosità delle nuove forme di propaganda e incitamento adoperate dai moderni terroristi, specie di matrice jihadista, ha prepotentemente riportato alla luce la storica tensione tra libertà di manifestazione del pensiero e sicurezza pubblica. Questo lavoro si propone di analizzare sinteticamente come, in tempi recenti, questi due contrapposti interessi siano stati bilanciati nel diritto penale e nel diritto amministrativo dell’immigrazione. L’idea di fondo che ispira la trattazione è che l’ordinamento abbia ‘scaricato’ sul secondo àmbito le istanze di prevenzione e repressione tradizionalmente appannaggio del primo, prediligendo reagire agli episodi di adesione ideologica verso il fenomeno terroristico (tweets, download di video, proclami in pubblico) con lo strumento dell’espulsione amministrativa piuttosto che col processo penale. Ne deriva un sistema dall’alto tasso di effettività ove, tuttavia, le garanzie sostanziali e procedurali connesse alla libertà d’espressione - specialmente di cittadini stranieri - rischiano di venire drasticamente compresse.