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ISSN 2611-8858

Temi

Libertà di espressione

Diffamazione a mezzo stampa e libertà di espressione nell’orizzonte della tutela integrata dei diritti fondamentali

L’articolo tratta della legittimità costituzionale e convenzionale della previsione della pena detentiva per il delitto di diffamazione a mezzo stampa di cui agli artt. 595, terzo comma, cod. pen. e 13 della legge 8 febbraio 1948, n. 47, soffermandosi sugli orientamenti della Corte europea dei diritti umani (sentenze Cumpănă e Mazăre, Katrami, Belpietro, Ricci e Sallusti) e della Corte costituzionale (ordinanza n. 132 del 2020) e sugli strumenti a disposizione del giudice comune per dare attuazione alle indicazioni ricavabili da tale giurisprudenza in ordine al bilanciamento da operare tra libertà di espressione – a un tempo diritto individuale e valore fondamentale dell’ordinamento democratico – e tutela della reputazione.

Corruzione e libertà di parola nella regolamentazione del finanziamento delle campagne elettorali negli Stati Uniti

All’interno dell’area della regolamentazione del finanziamento delle campagne elettorali, libertà di parola e corruzione presentano un interessante punto di contatto. Punto essenziale è stabilire se la regolamentazione nel senso della restrizione dei contributi privati alle campagne elettorali sia anche limitativa della libertà di parola e se, quindi, le restrizioni suddette si po ngano in frizione con il First Amendment della Costituzione degli Stati Uniti. Il presente articolo esamina la più significativa giurisprudenza della Suprema Corte degli Stati Uniti riguardante l’interazione tra libertà di espressione e corruzione. In particolare, analizzando l’equazione elaborata dalla Suprema Corte che identifica i contributi dati alle campagne elettorali e l’espressione politica, questo articolo critica l’utilizzo dello scudo del First Amendment per proteggere azioni che, come si spiega, non rientrano nell’area della libertà di espressione

Istanze di criminalizzazione delle fake news al confine tra tutela penale della verità e repressione del dissenso: verso un nuovo simbolismo penale?

Il contributo si propone di esaminare nella prospettiva del diritto penale il problema della divulgazione di fake news tramite i social media, sia al fine di valutare se le condotte di diffusione di false notizie tramite il web possano già dar luogo a forme di responsabilità penale, sia al fine di sottoporre a vaglio critico le ragioni di politica criminale sottese alle istanze di espansione della punibilità che trovano espressione in numerose proposte legislative. Tali istanze devono essere valutate alla luce della più ampia tematica dell’impiego dello strumento punitivo in chiave di tutela della verità delle informazioni trasmesse al pubblico, cui si correla la questione dei limiti costituzionali all’incriminazione di condotte che si estrinsecano nella manifestazione di un pensiero, come tali astrattamente rientranti sotto la copertura dell’art. 21 Cost. In definitiva, si tratta di capire se le nuove istanze di criminalizzazione delle fake news rispondono a effettive esigenze di tutela ovvero si risolvono in una mera strumentalizzazione delle valenze simboliche del diritto penale in chiave di repressione delle opinioni di dissenso.

Eternal Sunshine of the Spotless Crime. Informazione e oblio nell’epoca dei processi su internet

Processo penale e c.d. processo mediatico si differenziano, fra le altre, in ragione del diverso peso attribuito al fattore temporale: mentre il primo si sviluppa in senso diacronico, il secondo presenta natura pressoché istantanea, spesso esaurendosi nelle primissime fasi del procedimento vero e proprio. La divaricazione tra i due fenomeni si fa ancora più consistente laddove il canale mediatico sia internet, ove l’istantaneità del ‘processo’ si combina con la memorizzazione a oltranza del dato. Appare evidente, così, che eventuali articoli aventi a oggetto passate vicende criminali, se non rimossi, rettificati o semplicemente aggiornati, rischino di segnare irreversibilmente la dignità del soggetto coinvolto. Muovendo da tali acquisizioni, il presente lavoro si propone di indagare portata, pregi e limiti del c.d. diritto all’oblio nel peculiare contesto della cronaca giudiziaria via web.

I discorsi d’odio nell’era digitale: quale ruolo per l’internet service provider?

L’evoluzione degli strumenti di comunicazione digitale e, soprattutto, l’affermazione dei social network hanno aperto la strada ad una pervasiva proliferazione dei discorsi d’odio in rete. Al fine di ostacolare la propagazione delle opinioni discriminatorie e non rispettose della dignità umana, risulta quanto mai rilevante la definizione del ruolo e delle eventuali responsabilità degli intermediari informatici, stante il contributo che gli stessi apprestano alla diffusione e alla permanenza in rete dei contenuti digitali, ma, soprattutto, in quanto principali soggetti in grado di rimuovere materialmente i messaggi illeciti. Occorre, tuttavia, verificare se l’approccio punitivo – e, più specificamente, il ricorso alla sanzione penale ̶ sia davvero il più ragionevole, considerati i rischi che una tendenza repressiva potrebbe implicare rispetto alla libertà di espressione degli utenti e alla libertà di impresa dei provider.