Il lungometraggio sul mandato di arresto spiccato nei confronti dell'ex presidente della Generalitat catalana Carles Puigdemont ha visto una nuova svolta con la sua applicazione da parte delle autorità giudiziarie italiane, che, considerando l'euro-ordine efficace, hanno arrestato Puigdemont in Sardegna, salvo poi rilasciarlo. Il caos di questo nuovo episodio è di tale portata che il gip ha ritenuto opportuno inviare una nota chiarificatrice sulla validità dell'ordine europeo. Tre sono le questioni in discussione: la prima è relativa alla portata dell'immunità; la seconda, probabilmente la più complessa, riguarda la sospensione o meno dell'euro-ordine; la terza, finora inesplorata, concerne la c.d. doppia incriminazione, ossia se la condotta posta in essere dall'ex Presidente, qualificata dal Tribunale Supremo spagnolo come reato di sedizione, costituisca reato anche in Italia.
Il paper si chiede come debba interpretarsi la doppia incriminazione nel contesto del principio del mutuo riconoscimento dopo la polemica sorta nel caso Puigdemont. Nel post si sostiene che i giudici tedeschi, nel rifiutare la consegna dell’imputato, hanno effettuato un’interpretazione erronea della decisione quadro relativa al mandato d’arresto europeo, in contrasto con l’art. 82 del TFUE. L’identità nazionale è il criterio che, secondo l’autore, dovrebbe servire da guida all’interpretazione giurisprudenziale della doppia incriminazione.
Il saggio affronta il problema del rapporto fra il meccanismo del mandato di arresto europeo, ispirato da finalità repressive, e la tutela dei diritti fondamentali della persona ricercata dallo specifico angolo visuale costituito da alcune pronunce della Corte di giustizia. In tempi recenti, infatti, i giudici di Lussemburgo hanno percorso itinerari “virtuosi”, che, senza disconoscere gli approdi della giurisprudenza precedente, documentano una nuova sensibilità per la protezione dei diritti fondamentali. Permangono, tuttavia, aspetti compromissori e nodi irrisolti, che vengono analizzati in chiave critica.
Il procedimento di estradizione, regolato tanto da apposite Convenzioni quanto dalle suppression conventions in materia di terrorismo, si rende talvolta inapplicabile in quanto incompatibile con gli obblighi di tutela dei diritti umani. Nel presente contributo ci si soffermerà sul divieto di estradizione nei casi in cui l’estradando rischi di subire, nel Paese richiedente, trattamenti inumani o degradanti, in violazione dell’articolo 3 CEDU.
Lo scritto analizza il diritto alla “duplice difesa” nel procedimento di esecuzione del mandato di arresto europeo alla luce dei collegamenti fra la direttiva 2013/48/UE, da poco attuata nel nostro ordinamento con il d.lgs. 15 settembre 2016, n. 184, e la direttiva (UE) 2016/1919.
Lo scritto ripercorre brevemente il cammino del mandato di arresto europeo dalla decisione quadro originaria ai nostri giorni, soffermandosi in particolare sulle nuove prospettive di garanzia finalizzate a bilanciare la natura repressiva di tale strumento.
Gli ultimi due decenni hanno visto rafforzarsi nello scenario multiculturale europeo una concezione fortemente partecipativa di giustizia penale che, dovuta specie all’opera della giurisprudenza di Strasburgo, sta progressivamente diffondendosi in diversi settori del diritto processuale penale negli ordinamenti nazionali. All’interno del quadrante dell’Unione europea, superata la prima fase di normazione all’interno del III Pilastro, l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona ha posto le basi per l’avvio di un impegno delle istituzioni dell’Unione vòlto al consolidamento di standard minimi di tutela del diritto di difesa in relazione non solo alle procedure di cooperazione ma anche ai procedimenti nazionali. Sebbene ciò abbia dato avvio a una nuova stagione d’intensa attività normativa, il carattere abbastanza frammentario delle riforme varate fa sì che la voce e la partecipazione di privati all’amministrazione della giustizia penale sia ancora debole. Il presente scritto analizza il cammino percorso dall’Unione europea negli ultimi due decenni verso il rafforzamento di difesa nell’ambito di procedure sia nazionali sia transfrontaliere, verificando inoltre se e in che misura l’armonizzazione operata dall’Unione soddisfi i livelli di tutela richiesti dalla giurisprudenza di Strasburgo e stabiliti nei sistemi costituzionali nazionali.