Sommario: 1. Ambientamento dell’indagine. – 2. L’evoluzione della prevenzione antimafia tra la l. 575/1965 e la l. 646/1982. – 3. La prevenzione mediante organizzazione nel decreto legislativo 231/01 secondo lo “Stick and carrot approach”. – 3.1. La responsabilità degli enti collettivi per fatti di criminalità organizzata. – 4. Gli enti collettivi nel Codice Antimafia. – 5. Le misure di contrasto alle infiltrazioni mafiose nella disciplina anticorruzione: il comma 10 dell’art. 32, d.l. 90/2014. – 6. Notazioni conclusive.
La sentenza della CEDU De Tommaso c. Italia ha finalmente aperto un varco nell’asfittica disciplina delle misure di prevenzione personali, giudicando contrastanti con l’art. 2, Protocollo 4 add. CEDU le c.d. fattispecie di pericolosità generica in ragione della loro assoluta indeterminatezza. Fino a questo momento gli effetti di questa decisione si sono propagati sulle misure di prevenzione patrimoniali basate sugli stessi imprecisi indici; all’orizzonte si profila, ora, la loro possibile estensione anche al campo attiguo delle interdittive antimafia. Più precisamente, sulla scorta di questa decisione di Strasburgo, potrebbe essere posta una questione di legittimità costituzionale dell’interdittiva c.d. generica contemplata dall’art. 84, comma 4 lett. d) ed e) d.lgs. 159/2011 per violazione dell’art. 117 Cost. in relazione al parametro interposto dell’art. 1, Protocollo 1 add. CEDU: i presupposti applicativi che in questo caso legittimano la limitazione del diritto di proprietà sono, infatti, ancor più vaghi di quelli delle ipotesi di pericolosità generica, consistendo unicamente negli “accertamenti disposti dal Prefetto”.