A fronte dell’espansione dell’ambito di applicazione delle misure di prevenzione personali, il ruolo della giurisprudenza e della dottrina è quello di guardiano delle garanzie individuali. In un contesto di misure di prevenzione in espansione, appare poco realistico immaginare un sistema penale privo della prevenzione prater delictum. La soluzione preferibile è quella di limitare il ricorso a queste misure, vagliando attraverso la rigorosa applicazione del principio di proporzione i presupposti di applicazione e gli effetti che la misura produce sulla libertà personale, direttamente o indirettamente attraverso la violazione delle prescrizioni imposte
La lotta all’accumulo di ricchezza illecita trova nella confisca lo strumento principale d’intervento: strutturalmente “mutevole” e finalisticamente eclettica, la confisca assume tratti camaleontici che le consentono di adattarsi a molteplici scopi differenti, sia sul piano della prevenzione che su quello della repressione. La confisca è in tal senso la manifestazione più emblematica di quel modello di diritto penale ‘moderno’, votato all’efficienza contrastiva, al quale sembra tendere la politica criminale degli ultimi anni. Il presente contributo mira a tratteggiare le coordinate essenziali per orientare l’interprete all’interno del vasto e complesso panorama ablatorio esistente.
Sulla falsariga del blacklisting sovranazionale, il legislatore italiano ha introdotto con D. Lgs. n. 90/2017 le misure di congelamento nazionali, votate alla prevenzione e contrasto del finanziamento del terrorismo. Si affaccia sulla scena nazionale un nuovo strumento di controllo dei flussi di capitali che – realmente o virtualmente – attraversano il Mediterraneo per sostenere l’azione dell’ISIL o di altre organizzazioni terroristiche. Il contributo muove dall’analisi della nuova norma e, inquadrata la novella nell’ambito delle misure di prevenzione a carattere interdittivo, si interroga sulla sua compatibilità con i principi che ne governano il funzionamento, evidenziandone le criticità: da un lato, il deficit di giurisdizionalizzazione, dall’altro, le incertezze legate al giudizio di pericolosità. Il vuoto di tutela che grava sul soggetto listato spinge a domandarsi se la misura sia espressione di un adeguato e legittimo bilanciamento tra security e liberty.
La sentenza della CEDU De Tommaso c. Italia ha finalmente aperto un varco nell’asfittica disciplina delle misure di prevenzione personali, giudicando contrastanti con l’art. 2, Protocollo 4 add. CEDU le c.d. fattispecie di pericolosità generica in ragione della loro assoluta indeterminatezza. Fino a questo momento gli effetti di questa decisione si sono propagati sulle misure di prevenzione patrimoniali basate sugli stessi imprecisi indici; all’orizzonte si profila, ora, la loro possibile estensione anche al campo attiguo delle interdittive antimafia. Più precisamente, sulla scorta di questa decisione di Strasburgo, potrebbe essere posta una questione di legittimità costituzionale dell’interdittiva c.d. generica contemplata dall’art. 84, comma 4 lett. d) ed e) d.lgs. 159/2011 per violazione dell’art. 117 Cost. in relazione al parametro interposto dell’art. 1, Protocollo 1 add. CEDU: i presupposti applicativi che in questo caso legittimano la limitazione del diritto di proprietà sono, infatti, ancor più vaghi di quelli delle ipotesi di pericolosità generica, consistendo unicamente negli “accertamenti disposti dal Prefetto”.
Le Sezioni Unite riaffermano la natura preventiva dell’ipotesi di confisca attualmente prevista dal c.d. “codice antimafia”, nonostante l’evoluzione legislativa e giurisprudenziale ne attesti sempre più nitidamente una diversa funzione di neutralizzazione dei profitti di provenienza illecita, indipendentemente dalla pericolosità dei beni e dei destinatari. Rimangono aperti, quindi, gli interrogativi circa l’esatta collocazione sistematica di tale istituto ed i limiti che devono presidiarne l’applicazione, anche alla luce della sua progressiva estensione ad ipotesi delittuose estranee al fenomeno mafioso.
L’articolo esamina criticamente la diversa interpretazione adottata dalle Sezioni Unite in relazione alla confisca di prevenzione e alla confisca ex art. 12 sexies d.l. 306/’92, non consentendo solo nel primo caso di tenere conto dei proventi dell’evasione fiscale e dei redditi leciti, ma sottratti al fisco, per calcolare il carattere sproporzionato, rispetto al reddito o all’attività economica, del valore dei profitti da confiscare, finendo per consentire la confisca di beni di origine lecita in contrasto con il principio di legalità e di proporzione; soluzione che recenti progetti di legge vogliono estendere anche alla confisca ex art. 12 sexies, in una logica che rischia di essere sproporzionata e complessivamente incoerente in termini di politica criminale, in cui forme di confisca destinate alla lotta alla criminalità organizzata, a partire dalla confisca di prevenzione sono ormai utilizzate come strumenti di lotta all’evasione fiscale e in cui le stesse Sezioni Unite propongono di estendere il ragionamento alla base della confisca della c.d. “impresa mafiosa” all’ipotesi di reinvestimento dei proventi dell’evasione fiscale in un’impresa originariamente lecita. La stessa logica che consentirà di utilizzare la nuova fattispecie di autoriciclaggio, nonostante la problematicità della nozione di profitto risparmio dei delitti tributari, per punire l’investimento dei proventi dell’evasione fiscale ben più gravemente delle stesse fattispecie presupposte.