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ISSN 2611-8858

Temi

Principio di legalità

La legge 22 maggio 2015, n. 68 sugli “ecodelitti”: una svolta “quasi” epocale per il diritto penale dell’ambiente

La legge 22 maggio 2015 n. 68 sugli ecoreati costituisce una svolta “epocale” per il diritto penale dell’ambiente. Il presente contributo analizza le principali novità della riforma, evidenziandone pregi e punti deboli, sia sotto il profilo della “tenuta” in chiave teorica delle soluzioni normative adottate, sia con riguardo alla loro concreta efficacia, in termini di rafforzamento del complessivo livello di tutela dell’ambiente.

Considerazioni critiche intorno al d.l. antiterrorismo, n. 7 del 18 febbraio 2015

Il lavoro analizza gli aspetti di diritto penale sostanziale della recente normativa in materia di terrorismo, ponendone in evidenza, in particolare, alcuni profili gravemente problematici in rapporto alla conformità ai principi costituzionali di determinatezza ed offensività.

Gli atti aventi forza di legge in materia penale, la delega fiscale e i soliti sospetti

L’improvvisa comparsa e la repentina ritirata della clausola di non punibilità del 3% all’interno dello “Schema di decreto legislativo recante disposizioni sulla certezza del diritto nei rapporti tra fisco e contribuente” (che, in attuazione della delega contenuta all’art. 8 della legge 11 marzo 2014, n. 23, prevede al Titolo II la “revisione del sistema sanzionatorio”) esemplificano i limiti e i possibili effetti paradossali degli interventi in materia penale attuati mediante atti aventi forza di legge. Nello specifico, la vicenda condensa i più significativi tratti problematici della convivenza tra delega legislativa e ratio della riserva di legge: l’estrema genericità dei principi e dei criteri direttivi, che amplia gli spazi di manovra del Governo e frustra le potenzialità di controllo della Corte costituzionale; la scarsa trasparenza, che nel caso di specie non ha consentito di ricostruire con un adeguato livello di credibilità quando e da chi la causa di esclusione della punibilità sia stata inserita nel corpo del testo; il ruolo defilato delle Commissioni parlamentari, chiamate ad esprimere un parere e precedute dal ritiro del testo.

Nemmeno la Corte di Giustizia dell’Unione Europea può erigere il giudice a legislatore

Vengono evidenziate motivazioni attinenti alla divisione dei poteri in base alle quali non può essere richiesto a un giudice, nemmeno dalla CGUE, di disapplicare disposizioni penali o processuali penali in base a un apprezzamento, di carattere generalpreventivo, circa il loro risultare di ostacolo, secondo l’esperienza giurisprudenziale, all’effettività applicativa, o all’efficacia dissuasiva, di determinate fattispecie incriminatrici. Su questa base (e non solo, dunque, con riguardo all’esigenza di evitare conseguenze retroattive in malam partem di pronunce europee), si valuta la prospettabilità della opposizione di «controlimiti» da parte della Corte costituzionale nella questione sollevata presso la medesima in rapporto alla sentenza CGUE «Taricco». La riflessione si estende al rapporto tra disposizioni europee e diritto penale interno, nonché, in particolare, al ruolo degli articoli 83 e 325 TFUE, come pure all’ambiguità della prefigurazione di «obblighi di risultato» in materia penale.

Il nuovo delitto di disastro ambientale: una norma che difficilmente avrebbe potuto essere scritta peggio

La riforma in materia di ecoreati, attuata con la l. 68/2015, ha previsto l’introduzione nel codice penale di una serie di nuove fattispecie di reato a tutela dell’ambiente. L’analisi degli Autori è estremamente critica rispetto all’intero impianto della riforma, e si appunta in particolare sulla nuova fattispecie di disastro, ritenuta in insanabile contrasto con i principi costituzionali di tassatività e precisione, e sulle ipotesi colpose, considerate un pessimo esempio di tecnica legislativa. Si salva solo la nuova fattispecie di inquinamento: sebbene nemmeno in questo caso la formulazione della norma appaia irreprensibile, tuttavia gli Autori ritengono senz’altro opportuna la scelta del legislatore di prevedere una incriminazione ad hoc per gravi fatti di compromissione dell’ambiente, fino a oggi sanzionabili solo ai sensi delle bagatellari fattispecie contravvenzionali previste dal TUA.

Considerazioni sulla (in)applicabilità delle fattispecie di cui agli artt. 727-bis e 733-bis c.p.

Le fattispecie di cui agli artt. 727-bis e 733-bis c.p., emanate in seguito alla direttiva n. 2008/99 CE, ipotizzando eventi indimostrabili, presentano vistose aporie sotto il profilo della mancata rispondenza al principio di tassatività- determinatezza dell’illecito penale; il regime sanzionatorio, poi, finisce per avere una scarsa capacità di contrastare i comportamenti in danno all’ambiente perché, di fatto, vanificato dai meccanismi clemenziali. Il rischio è quello di trovarsi al cospetto di incriminazioni destinate alla completa disapplicazione.

Il diritto penale frammentario nella storia e nella dogmatica

Lo studio analizza in primo luogo le diverse tipologie di frammentarietà: in senso ampio e stretto, e in particolare una frammentarietà descrittiva e una .prescrittiva, una interna e una esterna al sistema. Sul piano operativo, tuttavia, tali frammentarietà si traducono nel concetto materiale del reato, e nei principi di accessorietà e di ultima ratio, non esistendo una autonoma dogmatica del diritto penale frammentario, anche se vanno promosse una teoria e una dogmatica che negli esiti sostengano la frammentarietà. Sul piano della storia legislativa, diffusamente tratteggiata con numerosi esempi lungo tutto l’Otto Novecento, il diritto penale conosce una crescente e accelerata espansione, e una informalizzazione, che ne riducono progressivamente il carattere frammentario. Le cause di questa espansione internazionale sono generalmente note: lo sviluppo tecnologico, l’uso della legge penale come strumento di governo; il dissolversi di stabili strutture sociali e l’indebolirsi dei meccanismi di controllo sociale primario, sostituiti malamente da nuovi imprenditori morali, anche di partito: i conservatori per il diritto penale a tutela dello Stato, i progressisti per il diritto penale economico, i verdi per il diritto penale dell’ambiente, le femministe nel diritto penale sessuale, i liberali contro l’abuso delle prestazioni sociali; una quarta causa, infine, risiede nella diffusa drammatizzazione della criminalità, a dispetto delle statistiche criminali, rafforzata dalla stampa e produttiva di ciò che la politica avverte come bisognevole di intervento. A fronte di tale rappresentazione l’A. prospetta un’attualizzata proposta del modello programmatico di una scienza dei limiti del punire (Strafbegrenzungswissenschaft).

Concussione e induzione indebita: il formante giurisprudenziale tra legalità in the books e critica dottrinale

La ristrutturazione normativa del delitto di concussione ha aperto, nel diritto vivente, un vivace dibattito sui possibili tratti distintivi tra il nuovo art. 317 c.p. e la ormai nota ipotesi di induzione indebita. I diversi orientamenti ermeneutici maturati in brevissimo tempo hanno reso necessario, sul punto, un ponderoso intervento delle Sezioni unite della Corte suprema di cassazione che, nell’ambito di una rigorosa dommatica giurisprudenziale, pure non mancano, a ben vedere, di porre le basi per il recupero di una nomofilachia delle norme sulla nomofilachia dei casi. Infatti, il possibile ricorso a (de)penalizzazioni in concreto affidate ad una politica giudiziaria in nome di una pur invocata tenuta del sistema sembra, per ipotesi di “induzione non costrittiva vittimizzante”, confermare la necessità di ripensare una ‘riforma delle riforme’ che, al riparo da torsioni (in)sopportabili della legalità, sappia radicare nel dato normativo opzioni razionali di politica criminale.

Mafie etniche, elaborazione e applicazione delle massime di esperienza: le criticità derivanti dall’interazione tra “diritto penale giurisprudenziale” e legalità

Il lavoro analizza le problematiche emergenti dall’applicazione dell’art. 416 bis c.p. alle c.d. mafie etniche. L’Autore si occupa principalmente di analizzare le conoscenze cui il giudice, quale interprete del caso concreto, può attingere per trovare conferma della reputazione criminale dell’organizzazione straniera giunta al suo vaglio. Attraverso un raffronto con la giurisprudenza sulle mafie classiche, l’Autore riflette sulla possibilità di introdurre, in questo specifico ambito di incriminazione, “nuove forme” di apporto delle scienze sociali.

La Suprema Corte pretende un uso più consapevole della categoria dell’impresa mafiosa in conformità ai principi costituzionali

In contrasto con un certo orientamento della giurisprudenza che utilizza in maniera spregiudicata la categoria dell’impresa mafiosa, per trasformare la confisca di prevenzione o la confisca allargata ex art. 12 sexies d.l. 306/’92, nonché la confisca ex art. 416, bis, c. 7, in una forma di confisca generale dei beni in violazione del principio di legalità e di proporzione, e del diritto di proprietà, la sentenza in esame si segnala per un approccio correttamente garantistico nell’applicare la categoria dell’impresa mafiosa, negando innanzitutto che si possa confiscare l’intera azienda in base al mero accertamento della pericolosità sociale e della “disponibilità” nei confronti dell’organizzazione.