Il progetto di riforma del codice penale spagnolo dal 2013 introduce una modifica sostanziale del sistema di misure di sicurezza ed include l’ergastolo nell’elenco delle sanzioni penali. Entrambe novità rappresentano una svolta del sistema punitivo verso un “diritto penale della sicurezza”, in contrasto con i principi di colpevolezza, legalità, proporzionalità e rieducazione, interpretati alla luce della Costituzione spagnola e della Convenzione europea dei diritti del uomo.
In una Carta costituzionale che non conosce altri obblighi di criminalizzazione, il reato di tortura è il solo ad essere imposto e preteso. Eppure, nonostante quanto prescritto dall’art. 13, 4° comma, Cost. e dai relativi obblighi internazionali in materia, nel codice penale persiste l’assenza di un’apposita fattispecie repressiva. Che fondamento giuridico hanno le molteplici strategie argomentative adoperate a giustificazione di questo persistente vuoto di repressione penale? Quali, invece, sono le sue autentiche ragioni ordinamentali? E come mettere a valore il divieto internazionale di tortura già ora, nell’ambito del sindacato di costituzionalità delle leggi? L’indagine risponde a tali interrogativi, affrontando un fenomeno – la tortura – irriducibile al principio di legalità eppure non estraneo al nostro ordinamento, come accertato in non isolati pronunciamenti giurisdizionali.
La sentenza della Corte costituzionale n. 5 del 2014, dichiarando l’illegittimità di una norma abrogatrice, ha determinato la reviviscenza di una fattispecie incriminatrice che era stata espunta dall’ordinamento. Si tratta, pertanto, di un’eccezionale pronuncia in malam partem che, non essendo inquadrabile nel paradigma di sindacabilità delle c.d. norme penali “di favore” tracciato da C. Cost. n. 394 del 2006, sembra aprire nuovi scenari e nuove prospettive nel controllo di legittimità sulle scelte punitive del legislatore. Nella nota si analizzano le peculiarità della vicenda normativa oggetto del giudizio e si individuano i profili realmente innovativi della sentenza di illegittimità, soprattutto in relazione al riconoscimento – finora tutt’altro che pacifico – degli effetti di reviviscenza normativa conseguenti al riconoscimento dei “vizi formali” delle leggi penali favorevoli.
La conformazione “emergenziale” di alcuni settori del diritto penale spingono il giurista ad elaborare nuovi criteri di interpretazione della realtà normativa. Carl Schmitt, leggendo il Moderno come un’epoca in cui il rassicurante razionalismo kelseniano non può trovare cittadinanza, ci consegna alcune categorie concettuali di riferimento: “stato d’eccezione”, “nemico”, “partigiano”. Lo scopo di questo contributo è quello di verificare assonanze e coincidenze, simmetrie e distanze, tra l’impostazione schmittiana dell’ordinamento giuridico e le attuali tendenze e curvature della politica criminale.
La Cassazione torna a pronunciarsi sui limiti di rilevanza penale di operazioni qualificate come elusive in sede tributaria, ribadendo quanto già espresso nel noto precedente della sentenza “Dolce e Gabbana”. Anche in questo caso, l’identificazione tra la condotta elusiva ai sensi dell’art. 37-bis d.P.R. 600/1973 e quella penalmente rilevante non soddisfa: in eccesso, perché l’applicazione della disposizione antielusiva non garantisce il rispetto del canone della tassatività; in difetto, perché non richiede al giudice penale una valutazione autonoma sulla sussistenza dell’evasione a prescindere dalla qualificazione dell’operazione nel procedimento tributario come abusiva o elusiva.