Con l’entrata in vigore della legge n. 40 del 2004, il legislatore italiano ha introdotto una serie di limiti, divieti e sanzioni che esorbitano dalla loro naturale vocazione di semplice regolamentazione di comuni pratiche di fecondazione artificiale, sfociando piuttosto nella predisposizione di uno statuto punitivo che impone paternalisticamente scelte etiche ed ideologicamente orientate nel senso di una generale avversione verso procedimenti riproduttivi diversi da quelli ortodossi. A dieci anni dalla loro introduzione, le norme in materia di PMA non sembrano tuttavia destinate a sopravvivere: hanno infatti ripetutamente vacillato sotto la scure dei giudici nazionali ed europei, rivelandosi in tutta la loro incostituzionalità, nella loro illogicità sistematica e nell’inaccettabile indifferenza verso le esigenze concrete di coppie sterili o infertili.