Le fattispecie di cui agli artt. 727-bis e 733-bis c.p., emanate in seguito alla direttiva n. 2008/99 CE, ipotizzando eventi indimostrabili, presentano vistose aporie sotto il profilo della mancata rispondenza al principio di tassatività- determinatezza dell’illecito penale; il regime sanzionatorio, poi, finisce per avere una scarsa capacità di contrastare i comportamenti in danno all’ambiente perché, di fatto, vanificato dai meccanismi clemenziali. Il rischio è quello di trovarsi al cospetto di incriminazioni destinate alla completa disapplicazione.
Il lavoro si interroga sul ruolo da attribuire nel giudizio di responsabilità penale all’evidenza epidemiologica di un eccesso di mortalità in una popolazione esposta ad un determinato fattore di rischio. Vengono in primo luogo analizzati in chiave critica gli attuali indirizzi giurisprudenziali: il tradizionale orientamento che attribuisce rilievo al dato epidemiologico nel giudizio di accertamento della causalità individuale in processi per omicidio o lesioni colpose, ed il nuovo orientamento di merito che sussume invece il dato epidemiologico in fattispecie di reato contro l’incolumità pubblica, ed in particolare nella figura del disastro doloso. Viene poi avanzata una diversa soluzione del problema, basata sulla contestazione di fattispecie di danno attraverso l’istituto dell’accertamento alternativo, e vengono vagliate le reazioni che tale tesi ha suscitato in dottrina. Infine, vengono svolte alcune riflessioni di sintesi sul significato politico-criminale del tema oggetto di analisi.