Il dibattito sulla riforma della disciplina in materia di responsabilità degli enti per diversi anni sopito si è riacceso di recente, anche sulla scia dell’esperienza di altri ordinamenti. Il lavoro affronta l’argomento in questione dall’angolo visuale delle vicende riguardanti la punibilità. L’ampio ventaglio di istituti che negli ultimi anni hanno fatto irruzione nel sistema codicistico – dalla particolare tenuità del fatto alla sospensione del processo alla messa alla prova – e le figure, quali l’oblazione, da tempo radicate e che hanno registrato una diffusione in settori strategici della criminalità d’impresa, impongono di ripensare il principio di autonomia della responsabilità dell’ente. L’idea di affidare la soluzione del problema alla previsione dell’art. 8 del d.lgs. n. 231 del 2001, sancendo – alla luce della lettura offerta dalla giurisprudenza – la incomunicabilità delle cause di non punibilità tra persona fisica ed ente, deve essere rivista nella prospettiva di costruire un corredo di ipotesi specifiche per l’ente. L’obiettivo del lavoro è quello di analizzare le condizioni e i presupposti per ammettere in futuro l’ente all’oblazione, nel quadro di una più ampia riflessione sulle logiche premiali e sulle opzioni in tema di non punibilità che dovrebbero ispirare un rinnovato sistema di disciplina della responsabilità delle persone giuridiche in Italia.
Il testo si occupa delle conseguenze che il restyling legislativo al quale è stato sottoposto l’art. 348 c.p. riversa sul settore sanitario, più esposto di altri al fenomeno dell’abusivismo. In particolare, dopo aver analizzato le principali novità introdotte dalla c.d. riforma Lorenzin, ci si concentrerà sulle manifestazioni dell’esercizio abusivo nell’area odontoiatrica, dove esso si mostra capace di assumere forme societarie che acuiscono la carica di offensività delle condotte tenute dai sine titulis e che sollevano un interrogativo circa l’opportunità di innescare il meccanismo della responsabilità degli enti ex d.lgs. 231/2001.
L’articolo analizza il tema dell’utilizzo di tecniche di big data analytics nelle attività di compliance anticorruzione nei settori pubblico e privato, evidenziando come tali nuove prassi possano trasformare le caratteristiche attuali della prevenzione del rischio reato nelle organizzazioni complesse. Vengono evidenziati vantaggi e rischi derivanti dall’adozione di questi strumenti informatici, nonché alcuni ipotetici scenari futuri legati alla possibilità di regolamentare in via legislativa l’utilizzo di simili sistemi di compliance anche per fini diversi dalla mera gestione del rischio.
La previsione della responsabilità penale delle piccole imprese ha finalità preventiva. La compliance penale per queste imprese è proporzionalmente più costosa rispetto a quella delle imprese medie e grandi, tale problema può essere affrontato attraverso azioni collettive e l’informatizzazione
Diversamente dall’interpretazione contra legem prospettata dalla Procura, l’organo di supervisione cui fa riferimento l’art. 31 bis 2.2° del codice penale spagnolo è un organo differente rispetto al compliance officer. Seguendo il modello italiano, il legislatore istituisce specificamente un organo per il controllo degli amministratori e degli alti dirigenti, a causa della sfiducia che genera l’esistenza di un efficace autocontrollo da parte degli stessi
In questa nota a prima lettura della sentenza del Tribunale Supremo spagnolo del 28 giugno 2018 si esaminano criticamente le considerazioni spese dalla seconda sezione a proposito dell’opportunità che le imprese spagnole si dotino di compliance programs per prevenire i reati commessi al proprio interno.
La vigilanza endoaziendale sui modelli organizzativi per la prevenzione dei reati è un punto focale della nuova strategia di contrasto ai crimini d’impresa, la quale attinge ai principi della compliance penale e sta avendo larga diffusione a livello internazionale. Nell’articolo vengono comparati i sistemi di controllo previsti nell’ordinamento italiano (l’organismo di vigilanza ai sensi del d.lgs. n. 231/2001) e in quelli ispanoparlanti che dal primo hanno tratto ispirazione (soprattutto Cile, Spagna, Perù, Argentina), avuto riguardo anche al paradigma statunitense del compliance officer e alle norme tecniche più significative. Nonostante i comuni obiettivi prevenzionali, i vari schemi di controllo palesano consistenti differenze strutturali e attuative. Ad ogni modo, tra i fattori decisivi di una vigilanza efficace si stagliano l’indipendenza e l’assenza di conflitti di interesse in capo al vigilante, che devono coniugarsi con un’adeguata professionalità e la disponibilità di risorse sufficienti. Inoltre, nel selezionare le migliori tecniche di controllo non può prescindersi, a livello micro, dalle singole realtà aziendali in cui vanno innestate e, a livello macro, dal contesto produttivo e normativo-societario di riferimento
In questo lavoro si analizzano le linee fondamentali del sistema spagnolo di responsabilità penale delle persone giuridiche, con particolare attenzione ai diritti e alle garanzie basilari che integrano lo statuto processuale dell’ente chiamato nel processo in qualità di responsabile del reato.
Lo scopo di questo articolo è quello di fornire al lettore un quadro dell’evoluzione della disciplina spagnola in materia di responsabilità delle persone giuridiche, con un’attenzione particolare agli orientamenti sinora maturati al riguardo da parte della Procura Generale Spagnola e della Corte Suprema. L’impianto normativo spagnolo, introdotto dalla legge organica 5/2010 e poi emendato con la successiva legge organica 1/2015, appare largamente ispirato al modello italiano disegnato dal d.lgs. 231/01, sia pure con significative differenze poste in luce in questo intervento, come la cosiddetta clausola di compensazione tra la sanzione pecuniaria imposta all’ente e quella irrogata a carico della persona fisica.
Il fenomeno dei gruppi multinazionali rappresenta un tema di particolare interesse nel contesto della disciplina della responsabilità da reato delle persone giuridiche. La diffusa propensione a considerare il gruppo, ancor più delle società che lo compongono, come fattore criminogeno induce a interrogarsi sulla opportunità di una responsabilizzazione diretta del gruppo o, meglio, della controllante in cui si ravvisa il centro decisionale. Per quanto riguarda le imprese multinazionali, il d.lgs. n. 231 del 2001 disciplina, all’art. 4, soltanto il caso del reato commesso all’estero da dipendenti di una società avente la sua sede in Italia, laddove risulta invece del tutto priva di regolamentazione l’ipotesi dell’illecito posto in essere nel nostro Paese da un ente straniero. In tale articolato contesto, al fine di rendere più efficace ed effettiva la repressione della criminalità d’impresa, si rende necessaria una omogeneizzazione delle regole che a livello internazionale governano la responsabilità da reato degli enti.