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ISSN 2611-8858

Temi

Responsabilità da reato degli enti

Responsabilità delle società per reati alimentari. Spunti comparatistici e prospettive interne di riforma

Lo stato attuale del mercato mondiale degli alimenti, dominato dalle multinazionali del settore e caratterizzato da concentrazione societaria, globalizzazione e finanziarizzazione, rende necessario responsabilizzare direttamente le società commerciali per la realizzazione dei food crimes. Circa la struttura di tale responsabilità, il paradigma basato sulla carente organizzazione interna appare il più adatto allo scopo ed anche il più coerente con la filosofia ispiratrice della fitta regolamentazione europea in materia alimentare, secondo cui i relativi rischi vanno gestiti dalle imprese con un approccio di tipo preventivo, sistematico e documentato. La questione della scarsa determinatezza dei requisiti giuridici del modello organizzativo di prevenzione del rischio-reato può essere affrontata sia attraverso un’accorta integrazione legislativa, sia recependo, in sede applicativa, gli indirizzi rivenienti dalla normativa europea, dalla soft law internazionale e dalla standardizzazione privata, che vantano una lunga tradizione nel campo dei sistemi di gestione per la sicurezza alimentare. Il recente progetto italiano di riforma dei reati in materia agroalimentare, elaborato dalla Commissione Caselli, è apprezzabile per lo sforzo di “codificazione” di un modello organizzativo-tipo dell’impresa alimentare (nuovo art. 6-bis del d.lgs. n. 231/2001). Tuttavia, il potenziamento dell’etero-normazione in questo delicato settore, per il modo in cui è stato tecnicamente congegnato, presenta diverse incongruenze e potrebbe sollevare un nuovo sciame di problemi interpretativi.

Attività giornalistica e responsabilità dell’ente

Lo scritto si occupa del tema della estensibilità della responsabilità amministrativa da reato degli enti collettivi, di cui al d. lgs. 231/2001, ai reati riconducibili all’esercizio dell’attività giornalistica. Esaminati i problemi legati all’operatività dei criteri di imputazione di tali reati all’impresa giornalistica, si pone in evidenza la problematica compatibilità tra l’esercizio del diritto di cronaca e la compliance preventiva che fonda la colpevolezza di organizzazione dell’ente.

Note sintetiche sul rapporto tra giustizia penale e informazione giudiziaria

Il presente scritto si basa sul lavoro svolto dal Gruppo di ricerca costituito dal Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Università di Firenze sul tema “Giustizia penale e informazione giudiziaria”, cercando di riassumere brevemente i principali nodi problematici emersi a proposito dei vari interessi coinvolti e del loro possibile bilanciamento. Nel presupposto che occorra sciogliere la contraddizione esistente tra una normativa vigente ma totalmente ineffettiva e una situazione di sofferenza di molti interessi, specie privati, si tenta di individuare alcune possibili linee di riforma o di ripensamento.

Delitti di terrorismo e responsabilità da reato degli enti tra legalità e esigenze di effettività

L’art. 25-quater ha fatto ingresso nel sistema delineato dal d.lgs. n. 231/2001 mediante la l. 14 gennaio 2003, n. 7, in attuazione di obblighi di matrice sovranazionale che, nel più ampio quadro di contrasto al fenomeno terroristico, imponevano il riconoscimento di forme di responsabilità anche a carico della persona giuridica. La circostanza che la disposizione in commento non sia mai stata applicata – a dispetto dell’attuale escalation della minaccia terroristica a livello globale – induce ad interrogarsi sulla funzione e sull’effettività della fattispecie nell’economia del ”decreto 231”. Muovendo dalla ricognizione delle fonti sovranazionali di riferimento, il presente contributo si sofferma sulle principali questioni interpretative sollevate dalla norma, con l’obiettivo di evidenziarne i profili di frizione con il principio di legalità e con il criterio oggettivo d’imputazione dell’interesse o vantaggio, illustrando al contempo le significative ricadute sul piano della costruzione del modello organizzativo.

La diversione processuale per gli enti collettivi nell’esperienza anglo-americana

Nell’ordinamento statunitense, si assiste alla progressiva estensione, agli enti collettivi, di procedimenti di diversione i quali sono diventati, oggi, lo strumento privilegiato per fronteggiare la criminalità d’impresa; tanto che anche il Regno Unito ha, di recente, introdotto una disciplina ah hoc. Tale è la pervasività della giustizia dilatoria che la stessa ha finito per stravolgere i regimi di corporate liability vigenti nei sistemi di area anglo-americana, fornendo al contempo spunti comparativi anche in prospettiva di riforma del d. lgs. n. 231 del 2001.

L’idoneità del modello nel sistema 231, tra difficoltà operative e possibili correttivi

L’intervento si focalizza sulla mancanza di criteri certi ai fini del giudizio d’idoneità del modello di organizzazione, gestione e controllo. Quest’ultimo, architrave del sistema di responsabilità da reato degli enti, nella sua declinazione concreta non si rivela efficace, per cui la verificazione del fatto di reato è valutata ex se come indice dell’inidoneità del modello stesso, con il rischio di riprodurre quel meccanismo di “profezie auto-avveranti” già conosciuto in tema di illeciti colposi. L’analisi della giurisprudenza conferma questo dato, rivelando un numero esiguo di pronunce che escludono la responsabilità dell’ente in virtù della corretta adozione e attuazione di un modello idoneo, e la recente vicenda Impregilo sembra assumere in tal senso carattere paradigmatico. Le ragioni di tale fenomeno sono rinvenute nell’indeterminatezza legislativa dei criteri di costruzione del modello, e la ricerca di possibili correttivi individua soluzioni già praticate dal legislatore, che nel settore della sicurezza sui luoghi di lavoro ha stabilito una presunzione di adeguatezza dei modelli che si attengono a riconosciute linee-guida, soluzioni che mirano ad una certificazione preventiva dei modelli e soluzioni divise tra valorizzazioni della hard o della soft law.

Il progetto 2015 della commissione Caselli

Lo studio analizza il Progetto di riforma dei reati agroalimentari e in materia di salute pubblica concluso il 14 ottobre 2015 dalla Commissione Caselli. Si analizzano prima le carenze della disciplina vigente sia codicistica e sia della l. n. 283/1962, per poi illustrare in dettaglio le novità introdotte dal Progetto 2015. Ne emergono una significativa demarcazione del sistema tra sicurezza alimentare (legge speciale) e salute pubblica (codice penale), una rilevante depenalizzazione sul piano dell’art. 5 l. 283/1962, anche se lasciata in parte all’interpretazione, e un’innovazione profonda del modello contravvenzionale. Sul piano dei rapporti tra codice e legge speciale viene evidenziata un’accresciuta importanza del ruolo di prevenzione grazie alla disciplina congiunta, penale e amministrativa, che regola la responsabilità delle persone giuridiche per i delitti del codice penale, ma anche grazie a figure delittuose come la produzione e commercio di sostanze nocive per le finalità del commercio all’ingrosso o della grande distribuzione, il disastro sanitario anche per danni a distanza e su vittime indeterminate, l’omesso ritiro di sostanze pericolose e le informazioni commerciali pericolose.

Le Sezioni Unite e il profitto confiscabile: forzature semantiche e distorsioni ermeneutiche

La Suprema Corte, nella sua più autorevole composizione, compie un significativo revirement in tema di confiscabilità del profitto ritratto da illeciti penal-tributari, non soltanto collocandosi in una prospettiva del tutto eccentrica rispetto ai consolidati orientamenti della giurisprudenza di legittimità, ma pervenendo altresì a conclusioni poco persuasive sotto il profilo semantico e logico, oltre che di difficoltosa collocazione dommatica. Sebbene la soluzione del caso giudicato possa risultare condivisibile, la pronuncia desta preoccupazione per le sue potenziali ricadute sistemiche.

Riflessi processuali dell’evoluzione della confisca

Il presente contributo si prefigge lo scopo di analizzare le possibili ricadute sulle caratteristiche e sul ruolo del processo penale provocate dall’utilizzo dello strumento ablatorio. A tal fine, verrà analizzata, in particolare, l’evoluzione giurisprudenziale relativa ai presupposti applicativi della confisca nonché dello strumento cautelare del sequestro preventivo.