Corte di cassazione italiana, Sez. II, 25 novembre 2020, n. 37818, Antinori
Il testo si occupa delle conseguenze che il restyling legislativo al quale è stato sottoposto l’art. 348 c.p. riversa sul settore sanitario, più esposto di altri al fenomeno dell’abusivismo. In particolare, dopo aver analizzato le principali novità introdotte dalla c.d. riforma Lorenzin, ci si concentrerà sulle manifestazioni dell’esercizio abusivo nell’area odontoiatrica, dove esso si mostra capace di assumere forme societarie che acuiscono la carica di offensività delle condotte tenute dai sine titulis e che sollevano un interrogativo circa l’opportunità di innescare il meccanismo della responsabilità degli enti ex d.lgs. 231/2001.
Con la sentenza delle Sezioni unite “Mariotti” il percorso di depenalizzazione dell’errore medico è giunto ad un punto fermo. La fotografia dello stato della “colpa medica” che emerge da tale pronuncia, tuttavia, è assai diversa da quanto si poteva pensare (e auspicare) prima dell’approvazione delle due riforme che, nel giro di pochi anni, hanno interessato il perimetro delle responsabilità penali degli esercenti le professioni sanitarie. In una prospettiva storica, che prende le mosse dal declino della medicina moderna e dalla sovraesposizione giudiziaria che ne è conseguita per gli operatori sanitari, l’Autore ripercorre criticamente le tappe di tale percorso, registrando più di un’inattesa battuta d’arresto. A conclusione dell’analisi viene segnalato come, paradossalmente, l’eredità di tali riforme potrebbe essere costituita, più che da una diretta restrizione dell’area della punibilità, da una rinnovata “cultura” dell’illecito colposo in ambito sanitario.
Dopo alcune considerazioni preliminari sul nuovo art. 590-sexies c.p., l’articolo sottopone a critica la pronuncia delle Sezioni Unite “Mariotti” in tema di responsabilità medica, evidenziandone le problematicità rispetto ai limiti dell’interpretazione conforme a Costituzione. Nella parte conclusiva del lavoro si analizzano i percorsi ermeneutici alternativi che la Corte di Cassazione avrebbe potuto seguire per assicurare un equo bilanciamento dei diversi interessi coinvolti senza incorrere nel segnalato vizio di fondo.
Il lavoro concerne gli interventi normativi in tema di libertà terapeutica e diritto all’autodeterminazione del paziente. Le leggi 8 marzo 2017, n. 24 (c.d. Gelli-Bianco) e 22 dicembre 2017, n. 219 (in tema di consenso informato) sembrano invitare il professionista a selezionare autonomamente l’approccio terapeutico, ad attenersi alle linee-guida ministeriali e ad astenersi – a certe condizioni – dal ricorso a trattamenti oggettivamente inutili o sproporzionati. L’Autrice si interroga sul ruolo della volontà del malato terminale nella scelta della terapia, nonché sulle implicazioni penalistiche che originano dall’interazione, anche conflittuale, tra il diritto all’autodeterminazione e l’autonomia del sanitario nelle decisioni riferibili al miglior interesse di cura del paziente.
Il contributo si dedica all’analisi del concetto di colpa relazionale in ambito sanitario, per poi passare a definire le condizioni della sua attuale punibilità.Tali condizioni sono evidentemente influenzate dal principio di affidamento e da una disciplina complessa come quella dell’art. 590-sexies, 2° c., c.p., che sembra poter essere applicata in due principali ambiti casistici di colpa relazionale, distinti in base al fatto che la fonte comportamentale evidence-based preveda o meno un obbligo di controllo. Si indicano poi alcune soluzioni per eludere l’ostacolo dell’ancora troppo limitato accreditamento formale delle linee guida. Si potrebbe sfruttare il potenziale delle buone pratiche clinico- assistenziali, suscettibili di essere intese in termini estensivi, fino a ricomprendere, quale concetto di genere, persino le stesse linee guida. Anche l’art. 2236 c.c. appare in grado di consentire, a margine dell’art. 590-sexies, 2° c., c.p., razionali contenimenti dell’area della punibilità.
Il nuovo art. 590-sexies, comma 2, c.p. predica la non punibilità del medico per l'evento lesivo o mortale, cagionato per sua imperizia, ma nel rispetto delle linee guida e delle buone pratiche clinico-assistenziali che ne governano l'attività di cura. Il lavoro si prefigge l'obiettivo di eleggere le best practices mediche a guida per il giudice del merito, che dovrà necessariamente escludere il nesso causale tra la condotta del sanitario e l'evento infausto, allorquando, da parte dell'agente, vi sia stata l'individuazione delle migliori prassi adatte al caso e le medesime siano state applicate correttamente. Tanto impone, in quei casi, di mandare assolto il professionista con la più liberatoria tra le formule ex art. 530 c.p.p. ("il fatto non sussiste", anziché "il fatto non costituisce reato"), con i susseguenti effetti extrapenali indicati dall'art. 652 c.p.p., che impediscono al danneggiato, una volta chiusa la vertenza penale, di proporre all'autorità civile la domanda per il risarcimento del nocumento cagionato dal reato.