La repentina diffusione delle monete virtuali solleva da tempo molte preoccupazioni circa un eventuale utilizzo delle stesse a fini di riciclaggio. Proprio per far fronte a questi rischi, il legislatore ha da tempo elaborato una serie di obblighi per gli operatori in cryptocurrency. Il lavoro affronta questo aspetto, soprattutto al fine di comprendere se l’attuale normativa antiriciclaggio sia sufficiente oppure se necessiti di correttivi.
Osservazioni sulla Direttiva (UE) 2018/1673 del Parlamento europeo e del Consiglio, 23 ottobre 2018, relativa alla lotta al riciclaggio di capitali attraverso il diritto penale
Negli ultimi quindici anni, l’innovazione tecnologica ha rivoluzionato gli aspetti culturali e sociali e le metodologie di consumo e produzione di prodotti e servizi, trasformando il web in una possibile fonte di business per le imprese. Le “barriere” normative del processo di raccolta di capitali richiesto dalle banche e dagli intermediari finanziari abilitati hanno concorso, poi, all’affermazione di strumenti evoluti di finanziamento. Si pensi, in particolare, al Crowdfunding e alle ICOs che, costituiscono strumenti di “disintermediazione” della raccolta del risparmio per finanziare, direttamente e senza intermediari, progetti con ambizioni di scala globale. È evidente che alle opportunità che questi nuovi strumenti offrono si accompagnano minacce anche molto gravi, che intercettano una preoccupante trasmigrazione di interi settori della criminalità economico-finanziaria verso lo spazio virtuale. In questa prospettiva l’innovazione tecnologica impone, oggi, al sistema penale di intraprendere un processo di “deindividualizzazione” degli strumenti di contrasto tipici, invero, di un diritto penale senza vittima che mira a proteggere interessi diffusi e astratti.
L’utilizzo crescente di monete virtuali solleva da tempo dibattiti circa il nesso esistente fra le stesse e il mondo del crimine, sul sospetto che tale nuovo strumento di pagamento si presti ad essere sfruttato dalla criminalità come sistema finanziario alternativo, a fini di riciclaggio, in assenza di controlli da parte delle Autorità. Proprio a fronte di tali rischi di recente sono stati adottati, in ambito sovranazionale e nazionale, innovativi strumenti normativi di carattere preventivo; il tema del riciclaggio e delle valute virtuali, infatti, si presta ad essere affrontato, oltre in prospettiva repressiva, anche in prospettiva preventiva. Con il presente lavoro si intende procedere proprio all’analisi degli strumenti preventivi adottati in materia, per individuare quelli più idonei al contrasto di tali nuove pratiche, attraverso lo studio della normativa sovranazionale di settore e al confronto fra la stessa e quella italiana, per giungere ad un’analisi sulla situazione attuale e sulle prospettive sul tema.
Il fenomeno delle valute virtuali, di cui il Bitcoin costituisce l’esempio più noto, ha assunto nell’ultimo decennio connotati di sempre maggiore rilevanza e centralità in ambito nazionale e sovranazionale. Il presente contributo si pone l’obiettivo di analizzare il rischio di un utilizzo anomalo della valuta virtuale e la possibilità che tale strumento di pagamento on-line venga “piegato” ad attività criminali. L’attenzione si soffermerà sulle connotazioni peculiari della valuta virtuale, evidenziando come le stesse la rendano idonea, per sua natura, a “dissimulare” il valore oggetto del suo trasferimento nella sconfinata realtà virtuale e, quindi, a porsi come volano per la commissione dei reati di riciclaggio e autoriciclaggio. Ci si soffermerà sul fronte repressivo e sulla possibilità di ricondurre i fenomeni cyber-laundering e self-cyberlaundering nell’alveo delle fattispecie codicistiche previste dagli artt. 648-bis e 648-ter1 c.p., senza che ciò determini una indebita e vietata applicazione analogica.
L’esigenza di garantire un’adeguata protezione dai rischi in materia di trattamento illecito dei dati personali provenienti dallo spazio virtuale ha messo in luce lo stretto legame esistente tra cybercrime e privacy e ha condotto il legislatore europeo a valorizzare il momento della prevenzione, incentivando l’adozione di efficaci misure di protezione dei dati personali nelle reti e nei sistemi informatici. Il GDPR adotta un nuovo approccio basato sul rischio, ponendo in evidenza come il trattamento illecito dei dati personali non sia frutto della condotta del singolo, ma derivi da una precisa politica di impresa. Ciò induce a interrogarsi circa la possibilità di costruzione e adozione di un modello organizzativo integrato, che garantisca un coordinamento tra la disciplina di cui al D.Lgs. n. 231/2001 e la normativa in materia di privacy.