Il tema dell’alternativa al carcere si è imposto continuativamente nel dibattito penalistico in rapporto, da un lato, ai problemi sollevati dall’ipertrofia della legislazione penale e, dall’altro lato, dalla crisi del carcere con speciale riguardo alla detenzione breve. Lo si ravvisa pure nell’attuale stagione politico-criminale, nella quale – anche per effetto della condanna riportata nella nota sentenza CEDU 8 giugno 2013, Torreggiani c. Italia – traspare l’intenzione di sfruttare le alternative al carcere in chiave deflativa per contenere il sovraffollamento degli istituti di pena (oltre che, in taluni casi, il carico giudiziario), ponendo in secondo piano le istanze tese a valorizzare la capacità rieducativa di tali misure.
Con il presente lavoro, si intende proporre, seppur in estrema sintesi, un’analisi delle principali questioni che hanno interessato il recente dibattito circa il rapporto tra il principio di intangibilità del giudicato penale e la tutela dei diritti umani del detenuto, in ragione dell’evoluzione della giurisprudenza della Corte EDU. L’oggetto di indagine sarà, dunque, limitato alla relazione intercorrente tra il giudicato penale interno e l’incidenza dell’esecuzione della giurisprudenza sovranazionale.
La relazione fa riferimento agli interventi di urgenza del legislatore negli anni 2012-2014, che intendevano porre rimedio ai maggiori punti di contrasto del nostro sistema di giustizia penale con i principi fondamentali più volte enunciati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo in tema di ragionevole durata del processo e di trattamento dei detenuti. Queste vistose carenze, eccessiva durata dei processi penali e sovraffollamento carcerario, sono strettamente interconnesse, poiché sul numero totale dei detenuti incide in maniera significativa la percentuale di coloro che sono in attesa di giudizio, mentre la custodia in carcere tende a trasformarsi nel surrogato di una pena destinata spesso alla ineffettività. Vengono prese in esame le riforme intese a risolvere, almeno in parte, una situazione diventata intollerabile: dalle modifiche alla disciplina sul risarcimento per eccessiva durata del processo, ai provvedimenti cosiddetti “svuotacarceri”, fino alle nuove norme in tema di sospensione del processo nei confronti degli irreperibili e all’introduzione della messa alla prova come strumento di diversion. Le scelte operate vanno nella giusta direzione, ma resta necessario incidere in maniera più decisa sui problemi strutturali della giustizia penale.
Il presente contributo evidenzia la centralità dei vincoli di origine sovranazionale nell’ambito del tribolato percorso di riforma del sistema sanzionatorio da mesi in corso. In quest’ottica, dopo aver richiamato il ruolo che il rispetto dei diritti fondamentali gioca ai fini dello sviluppo del processo di integrazione sovrastatuale in materia, ci si sofferma sulle ricadute negative che il sovraffollamento carcerario è suscettibile di produrre nell’ambito della cooperazione giudiziaria. Dopo aver posto l’accento sulle tensioni prodotte dal delicato rapporto tra mutuo riconoscimento e diritti dei detenuti, il lavoro sottolinea però l’importante contributo offerto da alcuni strumenti di diritto dell’Unione europea ai fini dell’elaborazione di standard minimi di tutela e in vista di un accrescimento del grado di fiducia reciproca tra gli attori della cooperazione in materia penale. Da ultimo il contributo si interroga sulla possibilità che le disposizioni di diritto europeo derivato possano favorire le logiche deflattive che ispirano l’azione riformatrice del legislatore italiano e garantire una reale pluridimensionalità del trattamento rieducativo all’interno dello spazio giudiziario senza frontiere interne.
La sentenza Torreggiani, anche per le ricadute sul piano della cooperazione giudiziaria europea, ha “imposto” al legislatore italiano di adottare una politica di riforme volta a restituire al carcere la sua dimensione di “extrema ratio”. Dopo un timido avvio, focalizzato sullo svuotamento delle carceri, piuttosto che sul contenimento degli ingressi, sono state introdotte alcune significative riforme che hanno interessato diversi settori del processo penale e, da ultimo, il complesso e delicato sistema cautelare. La decisione che il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa adotterà il prossimo giugno 2015, dirà se la strada intrapresa è quella giusta.
Il rifiuto da parte del Regno Unito di una richiesta di estradizione italiana – per effetto della nota sentenza Toreggiani – stimola delle considerazioni di natura comparata. Il presente contributo propone una panoramica delle tecniche e strategie di contrasto del sovraffollamento penitenziario adottate negli ultimi anni in Inghilterra, paese con uno tra i più elevati tassi di popolazione carceraria in Europa. Lo studio del modello inglese, pur tra le presenti antinomie e specificità di quel sistema, può offrire degli interessanti spunti di riflessione al vivace dibattito italiano tuttora in corso in questa materia.
Il problema del sovraffollamento carcerario ha natura costituzionale, e impone di introdurre nell’ordinamento un rimedio giurisdizionale di ultima istanza quale il differimento dell’esecuzione della pena se da scontarsi in condizioni contrarie agli standard indicati dalla Corte EDU. E’ solo per l’assenza di “rime obbligate” che la Corte costituzionale non opera direttamente la manipolazione richiesta dai Tribunali di Sorveglianza di Venezia e di Milano. Il monito rivolto al legislatore affinché provveda senza indugio, fa della sentenza n. 279/2013 una dichiarazione d’incostituzionalità accertata ma non dichiarata.
Il messaggio alle Camere del Presidente della Repubblica in data 8 ottobre 2013, mirato sulla questione carceraria, mette in discussione in modo diretto il sovraffollamento carcerario e l’obbligo di conformarsi alla sentenza pilota della Corte EDU 8 gennaio 2013, entro il termine di un anno dalla sua pubblicazione (“inderogabile necessità di porre fine, senza indugio, a uno stato di cose che ci rende tutti corresponsabili delle violazioni contestate all’Italia dalla Corte di Strasburgo”). Vi è affermata la stringente necessità di cambiare profondamente la condizione delle carceri in Italia: un imperativo, ad un tempo, giuridico e politico e morale. Ma in gioco c’è molto più. Accanto all’urgenza di rimediare alla violazione in atto, – anche con rimedi straordinari – vi è l’esigenza di incidere sulle condizioni che hanno prodotto e potrebbero riprodurre l’attuale stato di sovraffollamento intollerabile. Un’esigenza dunque (così il testo presidenziale) di innovazioni di carattere strutturale.