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ISSN 2611-8858

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Taricco

I tribunali ordinari dinanzi alla primazia del diritto dell’UE e alla tutela dei diritti fondamentali

Il paper si concentra sul crescente ruolo dei tribunali ordinari nell’applicazione del diritto dell’Unione europea. Dalle sentenze Simmenthal e Costa c. E.N.E.L., questi tribunali sono chiamati a lasciare senza applicazione qualsiasi disposizione interna che risulti in contraddizione con le disposizioni direttamente applicabili dell’ordinamento dell’UE. Tale obbligo, tuttavia, può risultare problematico in relazione al diritto penale. Recentemente, l’affaire Taricco ha nuovamente posto in rilievo questo tema, evidenziando che l’eliminazione delle contraddizioni tra il diritto interno e il diritto dell’UE può dar luogo alla violazione dei principi costituzionali inerenti il diritto penale. Allo stesso tempo, il caso Taricco ha messo in discussione la relazione tra la primazia del diritto dell’UE e il livello nazionale di tutela dei diritti fondamentali, questione che deve essere affrontata alla luce della sentenza del 31 maggio 2018 della Corte costituzionale.

L'epilogo del caso Taricco: l'attivazione 'indiretta' dei controlimiti e gli scenari del diritto penale europeo

La chiusura del caso Taricco, sancita dalla Corte costituzionale con la recente sentenza n. 115 del 2018, offre rilevanti spunti non solo per analizzare la dinamica del confronto instauratosi tra Corte costituzionale e Corte di Giustizia in merito alla possibile disapplicazione in malam partem della disciplina interna degli atti interruttivi della prescrizione, ma anche e soprattutto per riflettere sulle possibili evoluzioni, sul piano interno e sovranazionale, del principio di legalità e in particolare del canone di sufficiente determinatezza della norma penale

La Consulta quale arbitro dei controlimiti

Premessa l’indiscutibile centralità del ruolo della Consulta nell’apertura del diritto penale alle fonti sovranazionali, nel contributo viene evidenziato come nella sua giurisprudenza abbia spesso prevalso un approccio “dualistico” nel confronto tra queste ultime ed i principi costituzionali. Tale atteggiamento ha impedito alla Corte costituzionale di porsi quale interlocutore privilegiato nel dialogo con le Corti europee, anche se un’importante inversione di tendenza sembra emergere dalla nota vicenda Taricco.

Lettura critica di Corte costituzionale n. 115/2018

La sentenza C. Cost. n. 115/2018, che chiude la vicenda Taricco, disapplica l’art. 325 par. 1 e 2 del TFUE, e la “regola Taricco” prescritta da CGUE 17 dicembre 2017, in quanto in contrasto col principio nazionale di determinatezza (art. 25 cpv. Cost.). Ciò costituisce un esercizio implicito di controlimiti nazionali al diritto europeo, per come interpretato dalla CGUE. La base del giudizio della Corte è costituita dall’attrazione originaria della prescrizione del reato nella materia costituzionale del principio di legalità-determinatezza: la prescrizione, per le conseguenze punitive, deve essere disciplinata come normativa sostanziale per vincolo costituzionale (unicum costituzionale in Europa). Applicando il vincolo di determinatezza all’art. 325, par. 1 e 2, TFUE e alla “regola Taricco”, la Consulta segue una lettura massimalista della determinatezza come esigenza che dal testo della regola legale (non al momento della condotta, semplicemente) si possa prevedere la sua successiva concretizzazione giurisprudenziale. Tale lettura, che contrasta con la tradizione ermeneutica della Corte, schiude orizzonti nuovi sul rapporto tra legge e interpretazione, e aspettative che difficilmente potranno essere soddisfatte nella gestioneordinaria dell’art. 25 cpv. Cost. Del pari, questo patriottismo costituzionale apre interrogativi nuovi sul futurodell’europeismo giudiziario.

Mutamenti nella politica criminale dell’Unione

Muovendo dalla premessa che, alla base dell’applicazione fornita dalla sentenza Taricco al principio di assimilazione, vi dovrebbe essere stato un giudizio di comparabilità tra i reati connessi alle gravi frodi IVA e quello di cui all’art. 291-quater TULD, obiettivo del presente contributo sarà quello di verificare, attraverso una puntuale analisi del delitto doganale, il predetto assunto espresso dalla Corte del Lussemburgo. Da tale disamina si potrà cogliere la valenza più che altro politica della pronuncia Taricco e, dunque, in quest’ottica, si svolgeranno alcune brevi riflessioni in ordine alle conseguenze politico-criminali derivanti dalla stessa sentenza della CGUE, con particolare attenzione alla recente Direttiva PIF.

Ragioni della legalità. A proposito di Corte cost. n. 24/2017

La Corte costituzionale, con l’ordinanza n. 24/2017, ha instaurato un dialogo con la Corte UE sui problemi posti da eccezioni d’illegittimità costituzionale conseguenti alla sentenza Taricco. Ha evitato di opporre i principi costituzionali come controlimiti, sollecitando la CGUE a precisazioni interpretative sui punti rilevanti per la tenuta della legalità penalistica. Questa strategia diplomatica è stata recepita dalla CGUE, e ciò consolida i principi che l’ordinanza n. 24 ha enunciato.

Rapporti interordinamentali e conflitti tra identità costituzionali (traendo spunto dal caso Taricco)

Lo scritto mette in evidenza il carattere parziale delle prospettive adottate tanto dalla Corte di giustizia quanto dalla Corte costituzionale per ciò che attiene al riconoscimento dell’identità costituzionale, rispettivamente, dell’Unione europea e dello Stato, pervenendo quindi all’effetto di uno squilibrato bilanciamento tra il principio di apertura e il principio del primato dell’un ordinamento nei riguardi dell’altro. Rileva quindi le due anime presenti presso la Corte dell’Unione, di cui rendono testimonianza le Conclusioni su Taricco dell’avvocato generale Y. Bot e quelle su Scialdone dell’avvocato generale M. Bobek. Tratta, infine, della questione relativa alla sede istituzionale competente a dare il riconoscimento dei principi costitutivi dell’identità suddetta e della possibile conversione dei conflitti interordinamentali in conflitti intraordinamentali, la cui soluzione resta demandata alla tecnica usuale del bilanciamento secondo i casi.

Processo penale e prescrizione nel quadro della giurisprudenza europea. Dialogo tra sistemi o conflitto identitario?

Precarietà e incertezza sembrano affliggere, nei tempi recenti, la prescrizione del reato, quando la si osservi da una prospettiva sovranazionale o comparata. Sullo sfondo, si pone il problema della tenuta del nostro sistema nel suo complesso, e persino della sua identità, come l’abbiamo concepita e tramandata di generazione in generazione. Con l’ordinanza n. 24 del 2017, la Corte costituzionale, sollevando una nuova questione pregiudiziale, mostra l’intento di non consumare una rottura del dialogo con l’ordinamento UE, limitandosi a paventare il rischio di ricorrere ai controlimiti, senza effettivamente porli in essere. Tuttavia, il provvedimento appare criticabile per alcuni argomenti utilizzati, e per la posizione assunta, che sembra lasciare poco spazio per specificazioni e aggiustamenti alla Corte di giustizia. La decisione, infatti, pur mostrando formalmente apertura a un confronto con la Corte di giustizia, tende a proporre in realtà una divisione tra mondi opposti e inconciliabili: di qua il diritto italiano, con la sua tradizione irrinunciabile; di là quello europeo, al quale formalmente si mostra deferenza (purché non si ingerisca in questioni vitali). Sembra il piano per una sorta di convivenza da separati, che certo ha il pregio di guadagnare tempo. Tuttavia, non si intravvede, nel ragionamento condotto, alcuna strada per raggiungere, o almeno per intraprendere il cammino verso una integrazione reale degli ordinamenti: è questo, in realtà, il nodo che, se non affrontato adesso, tenderà a riproporsi in successive occasioni.

La triangolazione delle garanzie processuali fra diritto dell’Unione Europea, CEDU e sistemi nazionali

Nel diritto dell’Unione Europea, le garanzie processuali assumono perlopiù la veste dei “principi”, i quali devono essere tradotti in “regole” da parte della giurisprudenza. Come apprestarne un’implementazione capace di assicurare risultati prevedibili ex ante e, soprattutto, di bilanciare in modo equilibrato i valori in gioco? L’art. 53 della Carta di Nizza risponde al quesito postulando un’equivalenza fra gli standard di tutela dei diritti fondamentali previsti dall‘Unione, dalla CEDU e dai sistemi nazionali. Una triangolazione che, però, non è agevole da svolgere, se si tiene conto delle antinomie che spesso gli standard in questione presentano. Nel presente lavoro si propongono alcune tecniche per realizzarla.