Le organizzazioni sovranazionali e i legislatori dei Paesi membri dell’Unione europea stanno realizzando penetranti interventi di riforma delle normative vigenti di contrasto al terrorismo internazionale. Il presente contributo analizza le fonti penali antiterrorismo del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, del Consiglio d’Europa, dell’Unione europea e di alcuni “Stati-modello” allo scopo di mettere in luce i rapporti reciproci e circolari che intercorrono tra tali fonti e, in particolare, l’“incidenza invertita” delle soluzioni normative nazionali sugli strumenti eurounitari di armonizzazione adottati e adottandi in materia di terrorismo.
La previsione legislative di un premio per la collaborazione al terrorista pentito è stata parte essenziale della strategia differenziata elaborata durante gli “anni di piombo”. Questa strategia informa ancora il sistema antiterrorismo italiano, nonostante sin dal principio ne siano stati evidenziati i punti di contrasto con un diritto penale costituzionalmente orientato. In relazione al contesto contemporaneo, per un verso, la nuova dimensione criminologica del terrorismo si pone come banco di prova per la utilità dello schema premiale: per altro verso, sul piano della legittimità, la tendenza verso un modello “nemicale” nella legislazione antiterrorismo può condurre a nuove involuzioni. La razionalità politico-criminale della strategia differenziata rischia di essere messa in crisi dalla carenza di armonizzazione internazionale che persiste a dispetto del carattere transnazionale della minaccia terroristica. Da un punto di vista sistematico, il ricorso alla tecnica premiale appare legittimato come strumento di eccezione nell’ambito della guerra al terrore o simili “emergenze” ma non più laddove esteso indiscriminatamente all’intera materia penale.
Il procedimento di estradizione, regolato tanto da apposite Convenzioni quanto dalle suppression conventions in materia di terrorismo, si rende talvolta inapplicabile in quanto incompatibile con gli obblighi di tutela dei diritti umani. Nel presente contributo ci si soffermerà sul divieto di estradizione nei casi in cui l’estradando rischi di subire, nel Paese richiedente, trattamenti inumani o degradanti, in violazione dell’articolo 3 CEDU.
L’art. 25-quater ha fatto ingresso nel sistema delineato dal d.lgs. n. 231/2001 mediante la l. 14 gennaio 2003, n. 7, in attuazione di obblighi di matrice sovranazionale che, nel più ampio quadro di contrasto al fenomeno terroristico, imponevano il riconoscimento di forme di responsabilità anche a carico della persona giuridica. La circostanza che la disposizione in commento non sia mai stata applicata – a dispetto dell’attuale escalation della minaccia terroristica a livello globale – induce ad interrogarsi sulla funzione e sull’effettività della fattispecie nell’economia del ”decreto 231”. Muovendo dalla ricognizione delle fonti sovranazionali di riferimento, il presente contributo si sofferma sulle principali questioni interpretative sollevate dalla norma, con l’obiettivo di evidenziarne i profili di frizione con il principio di legalità e con il criterio oggettivo d’imputazione dell’interesse o vantaggio, illustrando al contempo le significative ricadute sul piano della costruzione del modello organizzativo.
Il testo riproduce la relazione di sintesi del VII Corso “Giuliano Vassalli” per dottorandi e giovani penalisti svoltosi a Noto nel 2016. Si affrontano le principali questioni trattate, poste dalla nuova legislazione italiana per la lotta al terrorismo, che ha dato attuazione a plurime fonti sovranazionali, soprattutto con riferimento all’anticipazione della punibilità tramite la formulazione di fattispecie a dolo specifico e l’incriminazione di atti preparatori quali autonomi delitti, accanto alla fattispecie di associazione terroristica. Si considerano anche taluni aspetti di diritto processuale penale e si conclude evidenziando la necessità che l’adeguamento del diritto penale alle nuove sfide poste dal terrorismo non pregiudichi la salvaguardia delle garanzie fondamentali dello Stato di diritto.
In sede di accertamento della finalità di terrorismo, il giudice si trova a dover risolvere una serie di questioni interpretative. L’articolo si propone di esaminare la difficoltà di qualificare una condotta come terroristica, analizzando il contenuto delle disposizioni interne e riportando alcuni casi giurisprudenziali significativi. Per illustrare la complessità normativa entro cui si muove l’interprete, le conclusioni rese di recente dell’Avvocato Generale della Corte di giustizia, nella causa A e a. contro Minister van Buitenlandse Zaken, offrono lo spunto per riflettere sulla vexata quaestio della distinzione tra atti di guerra e atti di terrorismo e sull’interpretazione conforme come strumento di risoluzione delle antinomie.
La natura globale del terrorismo internazionale e dei mezzi di cui esso si serve, in particolare internet, impone di rimeditare i problemi di disciplina in una prospettiva essenzialmente sovranazionale. Il contributo esamina mediante l’adozione del metodo comparato la normativa dettata dal legislatore italiano, in attuazione di politiche internazionali, in materia di addestramento per finalità di terrorismo. Lo studio offre l’occasione per riflettere sulle tensioni cui è esposto il diritto penale “classico” a fronte dell’anticipazione spinta della punibilità a condotte meramente prodromiche nelle quali rischia di assumere un rilievo esorbitante la volontà di scopo. La gravità della minaccia induce il legislatore ad anticipare sempre più la punibilità, con il rischio di colpire condotte socialmente neutre e conseguente perdita di capacità selettiva della norma penale. La frenesia interventistica legata all’emotività del momento spesso incide di fatto sull’agognata armonizzazione delle legislazioni nazionali, presupposto indefettibile per un’efficace strategia di contrasto. Compito dell’interprete in questi momenti di crisi sarà dunque quello di vegliare affinché la retorica imperante sulla necessità di controlli non finisca per sacrificare una quota eccessiva di libertà in nome di una sicurezza che talora risulta essere in realtà solo apparente.
Il lavoro analizza gli aspetti di diritto penale sostanziale della recente normativa in materia di terrorismo, ponendone in evidenza, in particolare, alcuni profili gravemente problematici in rapporto alla conformità ai principi costituzionali di determinatezza ed offensività.