Comunicato stampa, decisioni nn. 202207368/1 e 202300521/1 del 26 aprile 2023
La Germania applica il principio di giurisdizione universale alle torture commesse da un ex funzionario di Stato siriano
Lo scorso 23 aprile si è aperto davanti al tribunale di Coblenza, in Germania, il primo processo al mondo per le torture di Stato commesse in Siria, che vede imputati due ufficiali dei servizi di sicurezza del regime di Bashar al-Assad, a capo della prigione Al-Khatib di Damasco. Tale processo rappresenta un momento fondamentale per la giustizia penale internazionale; si tratta infatti del primo procedimento fondato sul principio della giurisdizione universale nei confronti di membri del regime siriano. Il processo tedesco, insieme ad altri avviati in alcuni paesi europei, costituisce del resto l’unica possibilità attualmente percorribile per accertare le responsabilità per i gravi crimini commessi nel contesto del conflitto siriano
Il saggio intende ripercorrere in chiave storico-giuridica le tappe evolutive del carcere: da strumento destinato ad assicurare la presenza dell’imputato al processo e all’esecuzione della sentenza a luogo di detenzione in forma sanzionatoria. Osservatorio privilegiato di indagine sono le Pratiche criminali di area italiana: un genere letterario di rilevante importanza nell’età moderna, testimonianza insostituibile di quella straordinaria miscela di legislazione, dottrina, giurisprudenza e prassi fondativa del diritto comune. Le Pratiche contengono un’analisi originale del carcere quale luogo di reclusione in attesa di giudizio; dettano linee guida volte a disciplinare i delicati rapporti tra carcerieri e detenuti, ispirati a un misto di garantismo e di terrore; descrivono le modalità e le caratteristiche dei luoghi destinati ad accogliere i prigionieri, per evitare forme di aberrazione e di tortura. In esse si trovano già anticipati i temi che diverranno oggetto di analisi e di dibattito dal Settecento in poi, quando si comincia a individuare nel carcere la pena per eccellenza, emblema di una società civile che ripudia lo splendore dei supplizi dei secoli antecedenti. Eppure, esso continua a mantenere nei secoli i tratti aspri e afflittivi che le Pratiche delineavano (e che, al tempo stesso, cercavano di moderare in un delicato equilibrio tra umanità e repressione). E tutto ciò non può non porre interrogativi anche al giurista di oggi sul tema della condizione carceraria, di fronte alla quale lo storico non può non avvertire echi del passato.
In una Carta costituzionale che non conosce altri obblighi di criminalizzazione, il reato di tortura è il solo ad essere imposto e preteso. Eppure, nonostante quanto prescritto dall’art. 13, 4° comma, Cost. e dai relativi obblighi internazionali in materia, nel codice penale persiste l’assenza di un’apposita fattispecie repressiva. Che fondamento giuridico hanno le molteplici strategie argomentative adoperate a giustificazione di questo persistente vuoto di repressione penale? Quali, invece, sono le sue autentiche ragioni ordinamentali? E come mettere a valore il divieto internazionale di tortura già ora, nell’ambito del sindacato di costituzionalità delle leggi? L’indagine risponde a tali interrogativi, affrontando un fenomeno – la tortura – irriducibile al principio di legalità eppure non estraneo al nostro ordinamento, come accertato in non isolati pronunciamenti giurisdizionali.