P. Torretta, Giudicare la storia. Crimini di guerra, immunità giurisdizionale degli Stati, diritti fondamentali, Editoriale Scientifica, Napoli, 2018
A Short Presentation of the Book
1. Il libro della Prof.ssa Paola Torretta è focalizzato principalmente sull'analisi della sentenza della Corte Costituzionale n. 238/2014. Essa è approfondita alla luce dell'evoluzione legislativa e giurisprudenziale relativa alle richieste di risarcimento delle vittime delle violenze commesse dalle forze di occupazione tedesche nella seconda Guerra Mondiale. Già nell'introduzione si riesce a cogliere lo spirito multidisciplinare che riveste quest'opera. Il testo, infatti, non è limitato al solo approfondimento "costituzionale" della predetta sentenza, ma, al contrario, è caratterizzato da uno sguardo complessivo della vicenda che ha interessato il Giudice delle leggi, anche da un punto di vista penale e internazionale. Di fondamentale importanza è, tra l'altro, la pregiata premessa di taglio storico. Per l'Autrice, la storia che entra nei tribunali ed è "consacrata" in decisioni giudiziarie sarebbe il frutto di un fenomeno sviluppatosi soprattutto a partire dal Novecento (in particolare con il processo – o, meglio, con i processi – di Norimberga). Tale fenomeno evidenzierebbe un intreccio sempre più forte tra accertamento giudiziario e indagine storiografica, fra diritto e scienza storica, per rispondere all'esigenza delle società contemporanee di conoscere, giudicare, sanzionare responsabilità individuali e collettive (p. 1). A riguardo, viene citata l'efficace definizione di Odo Marquard di "tribunalizzazione della storia"[1], dove si ricerca, nel processo, un giudizio che assuma allo stesso tempo una valenza storica, oltre che giuridica, che serva a formare memoria pubblica, e talvolta anche a chiudere i conti con il proprio passato. Nel nostro Paese, sostiene l'Autrice, la domanda di giustizia è arrivata fino al Giudice costituzionale, al quale è stato chiesto di dirimire il conflitto fra due sfere di responsabilità dello Stato: l'adempimento degli obblighi internazionali, da un lato, e il rispetto della dimensione inviolabile del diritto alla tutela giurisdizionale, dall'altro. Osserva attentamente la Prof.ssa Torretta che la sentenza n. 238/2014 è intervenuta nel vivo del confronto fra l'antica concezione della sovranità statale e uno dei pilastri delle odierne società civili, da Lei definita come un'evidente (e irrisolta) contraddizione che la Corte Costituzionale ha superato per mezzo del ricorso ai contro-limiti, fulcro dell'impianto motivazionale di questa decisione (p. 2). Anche se il conflitto al centro della predetta pronuncia non si è forse del tutto concluso, per l'Autrice questa sentenza sarebbe comunque destinata ad imprimere un segno indelebile nel panorama giuridico internazionale, come una sorta di apripista di un disegno che mirerebbe ad un mutamento sostanziale delle stesse relazioni internazionali (p. 5-6).
2. Nel capitolo I, intitolato Storie di vite interrotte e dimenticate, storie di risarcimento mancati, viene ricostruito cronologicamente il percorso giudiziario delle richieste di risarcimento, in particolare degli episodi di deportazione di cittadini italiani, perpetrati fra il 1943 e il 1945 durante l'occupazione nazista. Il caso "pilota" di quella che l'Autrice definisce come "battaglia giudiziaria intrapresa contro lo Stato tedesco" (p. 13) è rappresentato dalla storia del Signor Luigi Ferrini, deportato in Germania per essere adibito al lavoro forzato nelle industrie del Reich. La situazione del Sig. Ferrini, così come quella degli altri italiani che subirono il suo stesso trattamento, destinati a rimpiazzare la manodopera tedesca richiamata al servizio militare sui fronti di guerra, era piuttosto paradossale. Da subito venne negato loro lo status di prigionieri di guerra, sostituito (per ordine di Hitler pochi giorni dopo l'armistizio di Cassibile) da quello di Internati Militari Italiani (IMI), che, come perfettamente evidenziato dall'Autrice, li fece "sprofondare in un vero e proprio vuoto di garanzie giuridiche, sottratti (illecitamente) alla protezione della Convenzione di Ginevra del 1929, lasciati al totale arbitrio delle autorità naziste" (p. 15). Solo successivamente, in base a un accordo tra Hitler e Mussolini (20 luglio 1944) furono "derubricati" a lavoratori civili. Rimanevano, però, di fatto, sprovvisti di tutela sul piano internazionale, e vissero una vita di stenti per tutto il periodo di internamento. Come riportato nel Rapporto della Commissione storica italo-tedesca citato dalla Prof.ssa, "il problema più grosso rimaneva in generale la situazione alimentare (...), dal momento che al Comitato Internazionale della Croce Rossa era stato vietato di assistere gli internati con alimenti e medicine" (p. 16). Non solo: una volta finita la guerra, la Repubblica Federale di Germania del 1949 predispose un primo sistema di indennizzi dedicato alle sole vittime delle persecuzioni del nazionalsocialismo, senza nulla riconoscere ai lavoratori forzati, che si erano visti congelare ogni istanza di risarcimento in virtù dell'Accordo di Londra sui debiti del Reich del 1953. Successivamente, anche la legge federale tedesca del 2000(EVZStiftG), istitutiva di una fondazione per l'indennizzo anche degli ex lavoratori forzati, ha espressamente escluso dai titolari di pretese risarcitorie i prigionieri di guerra, e in tale categoria venivano ricompresi i lavoratori "IMI", e ciò per una sorta di "gioco di parole" ben spiegato dall'Autrice nel corso del libro. Come noto, infine, neanche la Corte EDU riusciva a riportare giustizia, in quanto dichiarava le domande irricevibili perché incompatibili ratione temporis e ratione materiae (art. 35 par. 3 CEDU)[2], essendo i fatti alla base dei ricorsi proposti risalenti ad un'epoca anteriore all'entrata in vigore della Convenzione.
In tutto questo contesto, dettagliatamente descritto, si inserisce, come premesso, il caso del Sig. Ferrini. Egli, allo scadere della moratoria riconosciuta alla Germania con il citato Accordo di Londra, decise, "insieme al (vano) ricorso alle giurisdizioni tedesche, di rivolgersi – nel 1998 – anche alla giustizia italiana per l'accertamento della propria pretesa risarcitoria nei confronti dello Stato straniero" (p. 23). In prima e seconda istanza la domanda del ricorrente viene respinta dai giudici italiani, che dichiararono il difetto di giurisdizione, in ottemperanza alla garanzia internazionale dell'immunità degli Stati della giurisdizione civile estera[3]. In Cassazione però lo scenario viene completamente ribaltato e l'istanza è accolta con la pronuncia delle Sezioni Unite civili n. 5044/2004, definita "rivoluzionaria e coraggiosa", che annulla con rinvio la decisione della Corte di Appello di Firenze, ritenendo che l'immunità della giurisdizione straniera deve essere interpretata ed applicata in un'ottica di "sistema", ossia "in relazione alle altre norme che fanno parte integrante dello stesso ordine giuridico internazionale" (p. 25). Secondo la Corte, di fronte a reati che segnano "il punto di rottura tollerabile della sovranità"[4], non può rimanere integra una concezione "totalizzante" del principio di immunità. A seguito del rinvio, la Corte di Appello di Firenze, con sentenza n. 480/2011, condannava la Germania a versare a favore del ricorrente un'ingente somma per i danni da questi patiti (p. 32). In questo contesto, però, la Germania adiva, nel 2008, la Corte Internazionale di Giustizia e principalmente eccepiva, a carico dell'Italia, la violazione della norma internazionale consuetudinaria sull'immunità per avere ammesso la propria giurisdizione in ordine ad azioni civili intentate contro uno Stato estero. Con la sentenza del 03 febbraio 2012 la Corte Internazionale di Giustizia accoglieva il ricorso della Germania, per le ragioni ben esposte dall'Autrice (p.33-39), la quale afferma, altresì, che "alla decisione della Corte dell'Aja la Cassazione italiana, con estrema deferenza, si è da subito spontaneamente adeguata"[5].
3. Non è finita qui. Anzi, è in questo punto che il libro sembra acquisire il maggior fascino ed interesse. L'Autrice correttamente evidenzia che, di fronte a nuove cause di risarcimento danni contro la Germania, il giudice italiano avrebbe dovuto dichiarare il difetto di giurisdizione in ottemperanza alla norma internazionale sull'immunità degli Stati esteri, sia in base al cambio di rotta della Cassazione, sia in base alla Legge n. 5/2013 che formalmente introduceva il principio enunciato dalla Corte Internazionale di Giustizia. Ma, sottolinea la Prof.ssa, "è il caso di dire che, se non c'è un giudice a Berlino, o a L'Aja, c'è a Firenze" (p. 41). Proprio il Tribunale di Firenze, infatti, a seguito di giudizi civili instaurati da cittadini italiani vittime della deportazione nazista (o dai loro eredi), con quattro ordinanze del 21 gennaio 2014[6] ha rimesso alla Consulta la questione di legittimità costituzionale delle norme interne che hanno recepito il principio dell'immunità giurisdizionale degli Stati stranieri nella formulazione individuata dalla Corte dell'Aja.
4. Nei capitoli II, III e IV, in oltre 100 pagine, l'Autrice scende nel profondo dell'analisi della sentenza n. 238/2014, chiedendosi anche che cosa ne rimane, e che cosa ne potrà essere, in futuro, di tale pronuncia. Non è possibile, in questa sede, sintetizzare; ci sia permesso, però, di riportarne almeno il suo nucleo fondamentale. In sostanza, la Consulta, ha preso atto della "perdurante vigenza", a livello internazionale, dell'immunità della giurisdizione civile straniera "per tutti indistintamente gli atti ritenuti iure imperii", ma ha ritenuto inaccettabile – almeno sul piano interno – il vuoto di difesa giurisdizionale che l'immunità (come intesa dalla Corte Internazionale di Giustizia) ha creato nei confronti di situazioni giuridiche soggettive inviolabili (p. 42). La Consulta, "nel suo ruolo di garante del pieno svolgimento della personalità umana(art. 2 Cost.), anche di fronte all'operato dei poteri pubblici, si è spinta fino a sottrarre – per principio – le attività gravemente lesive dell'individuo e della sua dignità dalle modalità attraverso cui possono correttamente esplicarsi quelle funzioni dello Stato atte a comportare un contemperamento delle garanzie di difesa ex art. 24 Cost." (p. 59). D'altronde, "solo l'attivazione dei contro-limiti poteva (e può) provare a forzare la chiusura a doppia mandata con cui il diritto internazionale, sulla questione, ha lasciato i diritti soggettivi fuori dalla porta"[7] (p. 145). Nella sentenza 238/2014 il Giudice delle leggi ha di fatto applicato i contro-limiti nell'ottica di preservare "l'identità costituzionale"[8] dell'ordinamento italiano con la società internazionale.
Questo non deve però far dimenticare, come sottolinea saggiamente l'Autrice nelle conclusioni, che "anche per il nostro Paese, la presa di coscienza sull'inviolabilità del diritto al giudice si accompagna al rischio che le parole della Corte Costituzionale riportino a galla le responsabilità nostrane per gli odiosi crimini della guerra fascista, spesso minimizzate o addirittura rimosse sfruttando proprio la gravità del caso tedesco per arrivare ad una relativizzazione delle colpe italiane"[9] (p. 146). Ma la vera domanda che sembra essere contenuta nello spirito di questa Opera è: può la sentenza n. 238/2014 "abbattere" la barriera internazionale dell'immunità statale? Questo libro può certamente essere utile sia a comprendere, sia a porsi dei profondi dubbi. Anche per questo ne raccomando umilmente la lettura.
[1] In O. Marquard - A. Melloni, La storia che giudica, la storia che assolve, Laterza, Roma-Bari, 2008.
[2] cfr. Corte EDU, V sez., A.N.R.P. and 275 others, v. Germany, n. 45563/04, 04 settembre 2007.
[3] cfr. Tribunale di Arezzo, sentenza n. 3 novembre 2000, n. 3/; Corte di Appello di Firenze, sentenza 14 gennaio 2002, n. 41.
[4] L'Autrice cita Cass. Civ. S.U. ord. 29 maggio 2008, n. 14201.
[5] A partire, sostiene l'Autrice, da Cass. Pen. sez. I, sent. 30 maggio 2012, n. 32139.
[6] Su tre delle ordinanze di remissione, la Consulta ha deciso con la sentenza n. 238/2014; la quarta ordinanza, sottolinea l'Autrice, è andata in decisione in una successiva udienza (cfr. Corte Cost. ord. 30/2015) in quanto si era resa necessaria, per essa, la traduzione e la notifica ad ufficiali tedeschi convenuti in giudizio (vedi nota n. 98, cap. I, p. 41).
[7] Meritevole di essere riportato, sul punto, è l'opinione dissenziente del Giudice Antônio Augusto Cançado Trindade, allegata alla sentenza della Corte Internazionale di Giustizia Germany v. Italy, il quale rimprovera al Collegio di essere rimasto ancorato ad una visione anacronistica del diritto internazionale che non contempla la tutela dei diritti fondamentali (vedi nota n. 14, osservazioni conclusive, p. 145).
[8] Sul punto, M. Luciani, I controlimiti e l'eterogenesi dei fini, Questione Giustizia 1/2015, p. 89, citato dall'Autrice nella nota n. 23, cap.II, p. 53.
[9] L'Autrice cita, tra l'altro, il noto testo di F. Focardi, Il cattivo tedesco e il bravo italiano. La rimozione delle colpe della seconda guerra mondiale, LaTerza, Roma-Bari, 2013.