Acoso en el lugar de trabajo: Italia ratifica el Convenio de Ginebra del 21 de junio de 2019
L. 15 de enero de 2021, n. 4 (Ratificación y ejecución del Convenio núm.190 de la Organización Internacional del Trabajo sobre la eliminación de la violencia y el acoso en el lugar de trabajo, adoptado en Ginebra el 21 de junio de 2019 durante la 108a reunión de la Conferencia General de la misma Organización)
1. Con la legge 15 gennaio 2021 n. 4 è stata ratificata la Convenzione dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) n. 190 sull’eliminazione della violenza e delle molestie sul luogo di lavoro (Ginevra 21 giugno 2019). Se già con la ratifica della Convenzione di Istanbul nel 2013 il legislatore italiano si era impegnato ad assicurare un’adeguata repressione di quei comportamenti offensivi, di cui le donne sono le principali destinatarie, che creano un clima di lavoro ostile e degradante (art. 40), oggi quell’impegno è divenuto ancora più pressante e si è notevolmente ampliato l’ambito dell’intervento richiesto. La Convenzione di Ginevra è diretta infatti a proteggere tutti i “lavoratori e altri soggetti nel mondo del lavoro, ivi compresi i lavoratori come definiti in base alle pratiche e al diritto nazionale, oltre a persone che lavorino indipendentemente dallo status contrattuale, le persone in formazione, inclusi i tirocinanti e gli apprendisti, i lavoratori licenziati, i volontari, le persone alla ricerca di un impiego e i candidati a un lavoro, e individui che esercitino l'autorità, i doveri e le responsabilità di un datore di lavoro” (art. 2 della Convenzione). Altrettanto estesa è la nozione di luogo di lavoro, nel cui ambito i lavoratori devono essere tutelati, che è stata assunta dalla Convenzione: essa si applica infatti alla violenza e alle molestie “che si verifichino in occasione di lavoro, in connessione con il lavoro o che scaturiscano dal lavoro” (art. 3).
2. In che cosa si sostanzino quei comportamenti offensivi realizzati sul luogo di lavoro è detto chiaramente nell’art. 26 (molestie e molestie sessuali) del Codice delle Pari Opportunità (d.lgs. 198/2006), che riproduce le disposizioni sul punto della Direttiva 2002/73/CE “relativa all'attuazione del principio della parità di trattamento tra gli uomini e le donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro”. Ai sensi di questa disposizione sono discriminatori quei comportamenti indesiderati, che hanno “lo scopo o l'effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore” e di “creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo”: può trattarsi di molestie (morali), laddove quei comportamenti siano “posti in essere per ragioni connesse al sesso”, oppure di molestie sessuali, allorquando abbiano una “connotazione sessuale”, a prescindere da quale sia la forma nella quale siano espressi (“in forma fisica, verbale o non verbale”).
3. Allarmante è la dimensione del fenomeno, se si considera che, secondo i dati pubblicati dall’ISTAT nel 2016, ne sono state vittime 425.000 donne italiane tra il 2013 e il 2016 e solo una piccolissima minoranza (pari all’1,2%) ha denunciato l’accaduto. Anche la loro ripetizione nel tempo è preoccupante per la gravità delle ripercussioni sulla donna che ne è vittima: secondo le testimonianze delle donne che dicono di aver subito ricatti sessuali nel corso della loro vita, il 32,4% era ripetuto quotidianamente o più volte alla settimana, mentre il 17,4% si è verificato all’incirca una volta a settimana, il 29,4% qualche volta al mese e il 19,2% ancora più raramente. Tra il 2013 e il 2016 la quota di donne che ha subito ricatti tutti i giorni o una volta a settimana è ancora maggiore (rispettivamente, il 33,6% e il 24,8%). Le ragioni che più frequentemente inducono le vittime a non denunciare, secondo i dati raccolti, sarebbero la sottovalutazione della gravità dell’episodio (27,4%) e la mancanza di fiducia nelle Forze dell’Ordine o la convinzione di una loro impossibilità ad agire (23,4%).
4. La ratifica della Convenzione di Ginevra giunge dunque in un momento in cui il riconoscimento da parte delle Istituzione della violenza nei luoghi di lavoro e in occasione del lavoro non poteva più attendere. Lo Stato italiano dovrà dimostrare quella “tolleranza zero” nei confronti del fenomeno cui si fa espresso riferimento nella parte introduttiva dell’atto di ratifica, attraverso buone leggi e regolamenti, contratti collettivi e altre misure conformi, incluso l’ampliamento e l’adattamento delle misure esistenti in materia di salute e sicurezza sul lavoro, come l’art. 12 della Convenzione richiede. Un intervento urgente e non rinviabile che certo non sarà agevolato dalla “clausola di invarianza finanziaria” contenuta nell’art. 3 della legge di ratifica, che si rivela tanto più contraddittoria alla luce di quegli ulteriori obblighi di orientamento, formazione e sensibilizzazione che lo Stato italiano si è assunto in base all’art. 11 della Convenzione.