Con la sentencia de 12 de febrero de 2020, la Corte Constitucional abre una brecha en el muro que por largo tiempo ha separado el derehco penla sustancial y las normas de ejecución de la pena, en relación al principio de legalidad. Siguiendo un razonamiento que oscila entre la salvaguarda de las exigencias de previsibilidad y las razones de existencia del Estado de Derecho, la Corte afirma que están sujetas al principio de legalidad las modificaciones desfavorables de las instituciones que determinan una transformación de la naturaleza de la pena y que, por lo tanto, inciden de manera directa y concreta sobre la libertad personal del condenado. Por consiguiente, la Corte Constitucional declara la inconstitucionalidad de la aplicación retroactiva de los límites para acceder a las medidas alternativas establecidas en el artículo 4-bis ord. pen. respecto a los condenados por delitos contra la administración pública cometidos con anterioridad a la entrada en vigor de la ley n. 3/2019. Por otra parte, permanece todavía abierta la cuestión sobre la legitimidad tout court de la ampliación del catálogo de los delitos establecidos en el artículo 4-bis ord. pen. bajo el principio de razonabilidad y de la finalidad reeducativa de la pena.
La jurisprudencia italiana de los últimos años parece cada vez más orientada a reconocer a la jurisdicción ejecutiva amplias posibilidades de intervención correctiva y manipuladora de la pena infligida con la sentencia de condena. Esto, creando un efecto de “división” sustancial entre el juicio de comprobación de la responsabilidad y el de aplicación de la sanción, evoca fuertes sugerencias comparativas con el sistema procesal bifásico de la derivación angloamericana. En esta perspectiva, el presente trabajo se propone verificar si el mencionado fenómeno evolutivo representa un nuevo intento, por parte del proceso penal italiano, de acercarse al modelo acusatorio del Common Law o si constituye, más bien, el reflejo de su propio e irreprimible carácter inquisitivo
La pena nel processo. Giurisdizionalizzazione dell’esecuzione nella penalistica dell’Italia liberale
Il saggio ripercorre l’itinerario scientifico e legislativo che portò, nei primi lustri del XX secolo, alla formazione d’un diritto italiano dell’esecuzione penale. A lungo trascurata dagli studiosi e lasciata alla gestione spesso opaca delle autorità carcerarie, a fine Ottocento l’esecuzione suscitò l’interesse penalistico per una serie di concause: l’attenzione dell’establishment liberale alle matrici della criminalità, la campagna della scuola criminologica a favore di un radicale ripensamento della sanzione, il tentativo di costruire il processo penale, sul paradigma di quello civile, come un rapporto giuridico destinato a perpetuarsi oltre il giudicato. Spinte anche dalla novità sistematica del c.p.p. del 1913, le scienze penali si orientarono, non senza contrasti, verso un controllo giurisdizionale dell’esecuzione, che assicurasse anche nell’ultimo segmento del processo un minimum di garanzie e di libertà.
I dati statistici a disposizione rivelano che dal 2010 ad oggi la popolazione carceraria è calata in misura consistente; d’altro canto però, negli ultimi due anni la popolazione carceraria ha ripreso a crescere a ritmi assai sostenuti. Da qui alcune riflessioni sugli effetti – in parte effimeri, in parte più duraturi – prodotti dalle riforme ‘svuotacarceri’ che sono seguite alle condanne subite dall’Italia in sede europea per la violazione dell’art. 3 Cedu. La sensazione è che, a prescindere dagli esiti della riforma dell’ordinamento penitenziario in atto, il sistema non abbia ancora maturato una reale capacità di cambiamento che è necessaria per dare vita ad un sistema dell’esecuzione penale realmente rispettoso dei principi costituzionali custoditi nell’art. 27 co. 3 Cost.
Il disegno di legge n. 2067 interviene in modo disomogeneo su diversi ed importanti settori del sistema penale; contiene anche alcune disposizioni di legge delega che si caratterizzano per l’assenza di criteri direttivi sufficientemente determinati che imporranno al Governo di effettuare le vere scelte di politica criminale. A monte, manca un chiaro disegno di riforma del sistema sanzionatorio.
Il contributo esamina i tratti essenziali del complessivo intervento di riforma della giustizia penale del Ministro Orlando attualmente all’esame del Senato, che dovrebbe incidere su vari istituti del diritto penale sostanziale – come l’estinzione del reato per condotte preparatorie e, soprattutto, la prescrizione del reato – nonché di una congerie di norme di diritto penale processale, accomunate dalla finalità di rendere più efficienti gli sviluppi procedimentali, anche attraverso una più stringente scansione temporale dei diversi snodi.
Il presente contributo costituisce un commento al secondo comma del neo-introdotto articolo 12-bis d.lgs. 74/2000, in base al quale “la confisca non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all'erario. Nel caso di mancato versamento la confisca è sempre disposta”. L’autore esamina le possibili letture della nuova disposizione, alla luce delle loro non immediatamente evidenti implicazioni processuali, che attengono tra l’altro ai rapporti tra provvedimenti cautelari e statuizioni contenute nella sentenza di condanna, nonché alle ripartizioni di competenze tra il giudice della cognizione e il giudice dell’esecuzione. In esito a tale analisi, il contributo propone in particolare di interpretare la norma come un’inedita forma di ‘sospensione condizionale’ di una confisca disposta dal giudice della cognizione, ma non eseguibile da parte del giudice dell’esecuzione sino a che rimanga pendente il termine per il pagamento.
Il contributo discute della rilevanza di alcune situazioni-limite che si verificano nella realtà pratica dell’esecuzione penitenziaria (in particolare, in tema di incompatibilità carceraria, di rapporti genitoriali, di aiuto ai fini del definitivo reinserimento nella realtà sociale), come spia di deficit fondamentali dell’attuale regime di ordinamento penitenziario e dello stesso concetto di ‘trattamento’ che ne sta alla base. Si denuncia in proposito la mancanza di saperi nomologici in materia di ‘trattamento’ ed il sostanziale disinteresse per questa lacuna, che finisce con il rimettere alla discrezionalità dell’amministrazione in senso lato (comprensiva dell’area trattamentale) l’intera fase esecutiva. Infine, auspicando almeno la perdita di centralità dell’esecuzione carceraria, si segnala un diverso ruolo che dovrebbe competere alla legalità dell’esecuzione (ed ai saperi giuridici): se, rispetto ad un carcere inteso come residuale, ciò che diviene centrale è definire le condizioni della legalità, si tratterà di studiare in che cosa può essere tutelata e valorizzata la persona in un’istituzione di questo tipo; ma certamente non potranno essere i giuristi a farlo. Il loro compito sarà quello di esplicitare tutte le condizioni di tutela normativa della persona a chi possa studiare, alle condizioni normative date, cosa può essere scientificamente plausibile in termini di promozione dell’individuo.
La sentenza Torreggiani, anche per le ricadute sul piano della cooperazione giudiziaria europea, ha “imposto” al legislatore italiano di adottare una politica di riforme volta a restituire al carcere la sua dimensione di “extrema ratio”. Dopo un timido avvio, focalizzato sullo svuotamento delle carceri, piuttosto che sul contenimento degli ingressi, sono state introdotte alcune significative riforme che hanno interessato diversi settori del processo penale e, da ultimo, il complesso e delicato sistema cautelare. La decisione che il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa adotterà il prossimo giugno 2015, dirà se la strada intrapresa è quella giusta.