Legalità penale e legge di interpretazione autentica. Note a margine della sentenza della Corte Suprema argentina nel caso “Batalla”
Prendendo spunto dal caso “Batalla”, deciso dalla Corte suprema argentina nel dicembre 2018, il contributo analizza la possibilità di applicare una legge penale di interpretazione autentica in pregiudizio dell’imputato, o del condannato con sentenza non ancora divenuta definitiva. Si ritiene sussistano casi complessi o casi “limite”, quale è il caso “Batalla”, che non siano chiaramente sussumibili nella disposizione di legge utile alla loro risoluzione e che, in tali occasioni, spetti ai giudici risolvere le questioni problematiche ricorrendo a sentenze, almeno parzialmente, costitutive di diritto. Dinanzi a tali casi problematici, il Parlamento non solo sarebbe autorizzato a prevedere una legge di interpretazione autentica, ma una tale soluzione sarebbe anzi auspicabile in uno stato di diritto, al fine di evitare sentenze creative. Una legge di interpretazione autentica, se in malam partem, non dovrebbe tuttavia essere applicata in un processo in corso, poiché una tale soluzione si porrebbe in contraddizione con il dovere del giudice di scegliere, dinanzi a un caso complesso o a una legge ambigua, l’interpretazione legale più favorevole per l’imputato
1[1]. Nel 1994 il Parlamento argentino ha approvato la legge n. 24.390, rubricata “Plazos de la prisión preventiva”[2], il cui art. 7 introduceva la c.d. regola del 2x1. Ai sensi di tale disposizione, dopo due anni di custodia cautelare, per ogni giorno di esecuzione della misura dovevano essere computati due giorni di esecuzione della pena. La regola del 2x1 è stata abrogata dallo stesso Parlamento nel 2001[3], per cui si è tornati al calcolo dei giorni vigente prima della riforma: ogni giorno di custodia cautelare equivale a un giorno di pena (art. 24 del Codice penale).
In diversi processi per crimini contro l’umanità commessi in Argentina durante l’ultima dittatura militare, la maggior parte dei quali iniziati dopo il 2005, i condannati hanno richiesto l’applicazione della regola del 2x1. A tal fine, hanno invocato l’art. 2 del Codice penale. Esso prevede che, nel caso in cui la legge in vigore al tempo della commissione del reato sia diversa da quella vigente nel momento in cui viene pronunciata la sentenza o in un momento intermedio, sarà applicata sempre la disposizione più favorevole. Uno di questi casi, noto come caso Muiña, è giunto sino alla Corte Suprema, a seguito del ricorso presentato da un condannato, cui i giudici di grado inferiore non avevano riconosciuto la possibilità di applicare la regola del 2x1. In sintesi, la Corte Suprema, con sentenza del 2017[4], ha risposto che in quel processo (iniziato dopo il 2001 e avente ad oggetto reati commessi prima del 1994) doveva applicarsi la regola del 2x1, approvata nel 1994 e poi abrogata nel 2001.
Una settimana dopo la sentenza Muiña, il Parlamento ha approvato una legge[5], definita dallo stesso testo come legge d’interpretazione autentica, che esclude l’applicazione della regola del 2x1 ai casi di condannati per crimini contro l’umanità, genocidio o crimini di guerra e di coloro che non si trovassero in custodia cautelare durante la vigenza di suddetta regola. Questa legge ha poi portato ad una nuova pronuncia della Corte Suprema in un caso analogo a Muiña.
Nel dicembre dell’anno scorso, la Corte Suprema, contrariamente a quanto deciso nel 2017, ha affermato che la regola del 2x1 non è applicabile al caso di un condannato per crimini contro l’umanità[6]. Due dei magistrati che nella sentenza del 2017 avevano sostenuto il contrario, hanno affermato che la nuova legge, conforme, a loro avviso, alla Costituzione, li obbliga a modificare il loro parere. Altri due giudici, come già nella sentenza del 2017, hanno ritenuto che la regola del 2x1 non è applicabile ai casi di condannati per crimini contro l’umanità, per cui non hanno dovuto pronunciarsi sulla nuova legge. L’ultimo giudice, che nella sentenza del 2017 si era pronunciato in favore dell’applicazione della regola del 2x1, ha sostenuto l’incostituzionalità della nuova legge, in quanto, a suo avviso, contraria al principio di legalità.
In questo breve intervento, analizzerò per sommi capi il caso risolto dalla Corte Suprema nella sentenza del dicembre 2018. In particolare, cercherò di chiarire se dovesse o meno applicarsi la nuova legge per calcolare la durata della pena del condannato nel processo. La sentenza in commento ha suscitato un grande interesse in Argentina; da un lato, perché l’applicazione della nuova legge nei processi per crimini contro l’umanità ha impedito la scarcerazione di diversi condannati; dall’altro, perché ha rappresentato la prima occasione in cui la Corte Suprema si è pronunciata sull’applicabilità di una legge penale di interpretazione autentica.
2. La necessità di una legge d’interpretazione autentica presuppone l’impossibilità d’individuare il significato univoco di una norma. A mio avviso, tale impossibilità sussiste in un numero limitato di casi, che si trovano in una zona grigia, diversamente dai casi chiari, che sono indubbiamente sussumibili nei termini della legge. La soluzione dei primi è difficile, perché essi non sono chiaramente previsti né chiaramente esclusi dai termini della legge, per cui il dubbio rimarrà, a causa dell’ignoranza del significato effettivo del testo normativo[7].
Tuttavia, il giudice ha l’obbligo di risolvere anche questi casi difficili, dato il divieto del “non liquet”, per cui emetterà una sentenza almeno in parte costitutiva, e non solo dichiarativa del significato del testo normativo. Non per questo si tratterà di una sentenza arbitraria, in quanto non sia contraria all’intenzione del legislatore ed ai principi ed alle garanzie costituzionali; tuttavia, non si può dire che tale significato derivi chiaramente da quella intenzione, da quei principi e garanzie. Quanto più viene esteso l’ambito dell’oggetto d’analisi allo scopo di scoprire il significato di un enunciato normativo, tanto più i principi ottenuti sono generali, e questo impedisce il raggiungimento di soluzioni univoche[8].
In sintesi, ci sono casi che consentono di elaborare razionalmente più di una soluzione compatibile con la Costituzione, nella misura in cui non sia possibile determinare con precisione se essi siano o meno ricompresi nella norma applicabile[9].
Dunque, il caso della regola del 2x1 apparteneva a questi casi difficili? Ritengo di sì. Contrariamente a quanto sostenuto dalla maggioranza della Corte Suprema argentina nella sentenza del 2017, non sono convinto che il caso poteva essere risolto in modo univoco, facendo ricorso solo al testo degli articoli 2 del Codice penale e 7 della legge n. 24.390, senza che ci fosse bisogno d’interpretare nulla, data la chiarezza di quelle norme[10].
Non vi è nessuna discussione sul fatto che l’art. 2 del Codice penale vieti di punire qualcuno per una condotta che non era prevista come reato al tempo della sua commissione, così come vieta anche d’imporre una pena più grave di quella prevista prima dell’esecuzione del reato. Nemmeno vi è alcun dubbio sul fatto che si debba assolvere l’accusato se la condotta contestata non sia più prevista come reato dopo la sua commissione, oppure sul fatto che vada imposta la pena meno grave prevista per lo stesso reato dopo la sua commissione. Tuttavia, non è per nulla chiaro se l’art. 2 del Codice penale si riferisca ad ogni legge penale. La Corte Suprema argentina ha riconosciuto, in diverse sentenze, che le leggi penali temporali ed eccezionali non si applicano retroattivamente, né ultrattivamente, anche se più favorevoli[11], e ciò, tuttavia, non emerge chiaramente dal testo dell’art. 2 del Codice penale. La Procura Generale della Repubblica, per fare un altro esempio, ha sostenuto che una legge sulla prescrizione più favorevole non vada applicata retroattivamente[12], ma nemmeno questo si desume con chiarezza dall’art. 2 del Codice penale. Nella dottrina il tema è ancora aperto[13].
La regola del 2x1 non era una di quelle norme sulle quali non vi è alcun dubbio circa l’applicazione retro o ultrattiva, poiché non creava, non derogava, né modificava un reato preesistente o la sua pena. Come è stato segnalato dalla Corte Suprema nelle sentenze del 2017 e del 2018, la regola del 2x1 è stata concepita dal legislatore come uno strumento di riparazione o compensazione in favore di coloro che avessero trascorso più di due anni in custodia cautelare in carcere[14].
Se quindi siamo d’accordo sul fatto che la regola del 2x1 non era una di quelle norme chiaramente previste dall’art. 2 del Codice penale, la conclusione è che il caso in analisi non poteva essere risolto in modo univoco facendo ricorso meramente alla lettura di tale disposizione e dell’art. 7 della legge n. 24.390. Per converso, considero che occorra riflettere sulla ragione per cui si debba affermare che la regola del 2x1 dovesse essere applicata ai casi dei condannati che avessero commesso i fatti contestati prima dell’entrata in vigore di tale regola ed avessero trascorso più di due anni in custodia cautelare solo dopo l’abrogazione della regola stessa.
Si può dunque intuire il motivo per cui non è ammesso che un individuo sia punito per un fatto non previsto come reato al tempo della sua commissione, né che sia imposta a quest’ultimo una pena più grave. Parimenti, si capisce senza difficoltà perché si debba assolvere, annullare una condanna oppure imporre una pena più lieve a causa di una riforma penale successiva al fatto contestato. Tuttavia, non è chiaro perché quello stesso fatto dovrebbe essere il punto di riferimento temporale per l’applicazione della regola del 2x1[15]. In altre parole, se il presupposto fattuale dell’applicazione di tale regola era il compimento di due anni in stato di custodia cautelare, dato che l’intenzione del legislatore era di fornire una riparazione a colui che avesse trascorso più tempo in quella situazione, quale sarebbe la ragione per cui si dovrebbe compensare anche colui che avesse compiuto più di due anni in custodia cautelare quando la regola del 2x1 era già stata abrogata, dato che il legislatore non voleva più concedere tale riparazione? Nessun giudice riterrebbe corretto applicare una fattispecie penale più favorevole qualora il fatto contestato sia stato commesso dopo che questa figura criminosa sia stata sostituita da un’altra fattispecie punita più gravemente. Perché allora dovremmo essere sicuri che la regola del 2x1 debba essere applicata anche ai casi dei condannati che abbiano maturato due anni di custodia cautelare non durante il periodo di vigenza di tale regola, ma dopo la sua sostituzione con una regola sfavorevole?
D’altro canto, nella sentenza del 2017 è stato segnalato che non era in discussione che uno dei reati contestati all’accusato era di carattere permanente, nella fattispecie la sparizione forzata di persone. Neanche la soluzione di questo caso è chiara nella dottrina e nella giurisprudenza dato che, se si ammette che il punto di riferimento temporale è il fatto contestato, non si tratterebbe di un caso di successione di leggi penali nel tempo, ai sensi dell’art. 2 del Codice penale, bensì di coesistenza di leggi penali[16]. La commissione del fatto contestato all’accusato nel caso esaminato dalla sentenza del 2017 era iniziata prima dell’entrata in vigore della regola del 2x1 ed è continuata fino a dopo il provvedimento che la abroga, senza soluzione di continuità. Nella decisione di due giudici dell’opinione di maggioranza nella sentenza del 2017 sembra ammettersi, contrariamente a quanto affermato in altre parti di questa stessa risoluzione, che la soluzione della questione poteva generare qualche dubbio. Tuttavia, si è ritenuto che il caso dovesse comunque essere deciso in conformità con l’interpretazione più favorevole all’accusato nel rispetto del principio di ultima ratio, principio cardine del sistema penale[17], non giuridico, ma politico.
Occorre aggiungere che, come ha ricordato il giudice Lorenzetti nella sentenza del 2017, nel caso Gelman vs. Uruguay[18] la Corte Interamericana dei Diritti Umani ha affermato che, dato il carattere permanente del reato, con l’entrata in vigore della tipizzazione della sparizione forzata di persone la nuova legge risulta applicabile, senza perciò potersi parlare di applicazione retroattiva[19]. Dunque, se secondo la Corte Interamericana l’introduzione di un nuovo fatto tipico che preveda un delitto a carattere permanente deve applicarsi anche a fatti sussumibili nel nuovo tipo e la cui commissione sia iniziata precedentemente, senza perciò aversi applicazione retroattiva, perché non dovrebbe sostenersi lo stesso criterio nel caso qui esaminato? Nella sentenza del 2017 due giudici risposero che si trattava di situazioni differenti, non essendosi la Corte Interamericana pronunciata sull’applicabilità di una legge penale più favorevole[20]. Tale risposta tuttavia non convince, perché la Corte regionale ha affermato che si deve sussumere il fatto contestato in una fattispecie adottata successivamente rispetto all’inizio della commissione, anche se ciò è sfavorevole all’imputato, in ragione del carattere permanente del delitto. Non si capisce quindi quale sarebbe la ragione per cui, sulla base dello stesso ragionamento, non debba applicarsi la norma che ha abrogato la regola del 2x1 che è, come detto, una regola riferita non agli elementi costitutivi del fatto tipico, ma al calcolo della pena
In sintesi, si ritiene che la soluzione del caso in oggetto richiedesse di estendere l’ambito di analisi al fine di rivelare il significato delle norme, facendo ricorso non solo al testo degli articoli 2 del Codice penale e 7 della legge n. 24.390, ma anche all’intenzione del legislatore, al resto delle disposizioni normative rilevanti e ai principi generali del diritto, così come fecero i giudici nell’opinione di minoranza nella sentenza del 2017, al di là della correttezza o meno della loro decisione[21]. In questo modo, la scelta per l’una o l’altra posizione parrebbe dettata, come emerge dal voto di quei giudici, non tanto da criteri di decisione sulla verità o l’equità, e cioè dalla corrispondenza empirica tra le motivazioni accettate ed i fatti e le leggi, ma piuttosto da criteri di decisione su valori di giustizia sostanziale, i quali implicano valutazioni discrezionali. Per tale ragione, in dottrina si è parlato di un margine irreducibile d’illegittimità nell’esercizio della giurisdizione, poiché i giudici non decidono, né potrebbero farlo, con stretta soggezione alla legge[22].
Se quanto detto fin qui è plausibile, potrebbe ritenersi coerente con i principi dello stato di diritto che il Parlamento abbia chiarito il significato della regola del 2x1 tra quelli indicati dalla Corte Suprema come ragionevoli. Ciò perché, se è vero che l’opzione tra i diversi significati non poteva compiersi senza ricorrere a criteri discrezionali che implicano inevitabilmente la responsabilità politica e civile del giudice, è preferibile che questa decisione sia adottata da coloro che esercitano un potere legittimato dalla volontà popolare.
3. Tuttavia, lascia perplessi il dato che una legge penale interpretativa debba essere applicata nell’ambito di processi in corso, qualora l’interpretazione proposta dal legislatore, tra quelle coerenti con le disposizioni costituzionali, peggiori la situazione dell’imputato o del condannato con sentenza non passata in giudicato. Una legge d’interpretazione autentica chiarisce il significato di una legge precedente. La Corte Suprema argentina ha riconosciuto, molto tempo prima della sentenza del dicembre 2018, che il Parlamento può adottare queste leggi, e che esse possono essere applicate a processi in corso, purché non vengano lesi diritti acquisiti[23]. La Corte Suprema ha altresì detto che, anche se il legislatore ha definito una legge come interpretativa, i giudici devono evitare che il legislatore pretenda d’imporre una norma di modifica con effetto retroattivo, perché verrebbe violato il principio di legalità[24].
Questa deriva non si rinviene nel caso in esame, poiché il legislatore ha attribuito alla regola del 2x1 uno dei significati individuati dalla Corte Suprema, nella sentenza del 2017, come preesistente e compatibile con la Carta costituzionale.
È vero che la Corte Suprema non si era mai pronunciata, prima del dicembre 2018, sulle leggi penali d’interpretazione autentica, analizzando esclusivamente leggi interpretative di altro genere. Tuttavia, se ci limitiamo alla giurisprudenza della Corte Suprema, gli imputati o i condannati con sentenze ancora non passate in giudicato non possono essere considerati titolari di un diritto acquisito secondo cui i giudici devono interpretare l’enunciato linguistico della regola del 2x1 in conformità con il significato ad esso attribuito dalla maggioranza della Corte Suprema nella sentenza del 2017. E questo per due ragioni.
La prima, perché da tale giurisprudenza emerge chiaramente che la Corte Suprema decide esclusivamente nei processi sotto la propria giurisdizione e le sue sentenze non sono vincolanti in casi analoghi[25].
La seconda, perché la Corte Suprema, a mio avviso, aveva già riconosciuto, anche se implicitamente, la possibilità d’applicare retroattivamente una legge penale interpretativa. In una sentenza del 2004, infatti, pronunciata nell’ambito di un processo per crimini contro l’umanità, la Corte Suprema ha affermato che la Convenzione sull’imprescrittibilità dei crimini di guerra e dei crimini contro l’umanità, approvata dal Parlamento argentino nel 1995, non ha sancito l’imprescrittibilità di tali crimini, ma ha riconosciuto la preesistenza di questo principio nel diritto internazionale consuetudinario, vincolante per il nostro Paese. Pertanto è tale norma, e non la Convenzione, ad imporre l’imprescrittibilità dei crimini contro l’umanità commessi durante l’ultima dittatura militare[26]. Non ci sarebbe quindi alcuna violazione del principio d’irretroattività della legge penale sfavorevole se venisse applicata la nuova legge interpretativa della regola del 2x1 per la determinazione della pena nei processi in cui ancora non è stata emessa sentenza passata in giudicato.
Tuttavia, da un punto di vista esterno alla giurisprudenza della Corte Suprema, si potrebbe sostenere il contrario, ovvero che le leggi penali interpretative non dovrebbero essere applicate nei processi in corso se fossero sfavorevoli per gli imputati o condannati con sentenze ancora non passate in giudicato. Questa soluzione prevale se si riconosce che il principio di legalità penale “esige di adottare un’esegesi restrittiva all’interno del limite semantico del testo legale, in conformità con il principio di politica criminale che caratterizza il diritto penale come l’ultima ratio dell’ordinamento giuridico, e con il principio pro homine, in base al quale occorre scegliere l’interpretazione legislativa più favorevole per l’essere umano di fronte al potere statale”[27].
In sintesi, se il legislatore, come nel caso in commento, approvasse una legge d’interpretazione autentica sfavorevole per l’imputato in un processo in corso, quest’ultima non dovrebbe trovare applicazione.
A tale conclusione si perviene ritenendo che, come già detto, il giudice, dinanzi ad un caso difficile, dovrebbe risolverlo secondo l’interpretazione ragionevole e favorevole all’imputato. In altre parole, una legge penale d’interpretazione autentica non dovrebbe essere applicata retroattivamente qualora risultasse sfavorevole all’imputato, così come affermato da due giudici della Corte Suprema nella sentenza del dicembre 2018. Una simile interpretazione, infatti, risulterebbe contraria al suddetto dovere dei magistrati.
[1] Si ringraziano Juan Lucas Finkelstein Nappi ed Emanuela Fronza per le loro osservazioni.
[2] Cfr. il testo al seguente link.
[3] Cfr. art. 5 della legge 25.430, approvata il 09.05.01 e promulgata il 30.05.01 (reperibile al seguente link).
[4] CSJ 1574/2014/RH1, “Bignone, Reynaldo Benito Antonio y otro s/recurso extraordinario”, sentenza del 3.5.17. La sentenza è nota con il cognome del richiedente (Muiña), anche se il processo in cui è stata pronunciata s’identifica con il cognome di un altro imputato. Per il testo di questa sentenza cfr. il sito ufficiale della Corte Suprema argentina: http://www.csjn.gov.ar.
[5] N° 27.362, approvata il 10.05.17 e pubblicata nel Boletín Oficial del 27.05.17 (reperibile al seguente link).
[6] FLP 91003389/2012/T01/93/1/RH11, “Hidalgo Garzón, Carlos del Señor y otros s/ inf. art. 144 bis inc. 1 -último párrafo- según ley 14.616 y otros”, sentenza del 4.12.18. Anche questa sentenza, allo stesso modo di quella richiamata nella nota n. 3, è nota per il cognome del richiedente (Batalla). Il testo della sentenza si può leggere sul sito web della Corte Suprema argentina (vedi nota n. 3).
[7] Cfr. Genaro R. Carrió, Notas sobre derecho y lenguaje, 5a ed., Buenos Aires: Abeledo-Perrot, 2006, pp. 55-57; Carlos Alchourrón, Eugenio Bulygin, Normative Sistems (1971), trad. spag., Introducción a la metodología de las ciencias jurídicas y sociales, 5a rist., Buenos Aires: Astrea, 2006, pp. 61-69; Juan Pablo Alonso, Interpretación de las normas y derecho penal, Buenos Aires: Didot, 2016, pp. 63-100.
[8] Cfr. Luigi Ferrajoli, Diritto e ragione. Teoria del garantismo penale (1989), trad. spag., Derecho y razón. Teoría del garantismo penal, 4a ed., Madrid: Trotta, 2000, pp. 172-173.
[9] In questo senso, con diversi esempi su norme e casi ambigui, cfr. Eugenio C. Sarrabayrouse, “La crisis de la legalidad, la teoría de la legislación y el principio in dubio pro reo: una propuesta de integración”, in Juan P. Montiel (a cura di), La crisis del principio de legalidad en el nuevo derecho penal: ¿decadencia o evolución?, Madrid: Marcial Pons, 2012, esp. pp. 50-54.
[10] Cfr. punto 7 dell’opinione dei giudici Rosenkrantz e Highton de Nolasco nella sentenza “Muiña”, cit. La stessa idea e’ ripresa dal giudice Rosenkrantz nei punti 12 a 14 e 16 della sua opinione dissenziente nella sentenza del caso “Batalla”, cit.
[11] Cfr. Fallos de la Corte Suprema de Justicia de la Nación: 293:522, 321:824 (opinione dissenziente del giudice Petracchi) e C. 77, XL, “Cristalux S.A. s/ley 24.144”, sentenza del 11.04.06, nella quale la Corte ribadisce la dottrina fissata nell’opinione dissenziente del giudice Petracchi nella sentenza pubblicata in Fallos: 321:824.
[12] Parere emesso sul caso risolto dalla Corte nella sentenza pubblicata in Fallos: 330:5158.
[13] Cfr. Guillermo J. Fierro, Legalidad e retroactividad de las normas penales, Buenos Aires: Hammurabi, 2003, pp. 246-333; E. Matías Díaz, Aplicabilidad de la ley procesal penal en el tiempo, Buenos Aires: Ad-Hoc, 2013; Gonzalo D. Fernández, El derecho penal intertemporal. Sobre la eficacia temporal de la ley penal, Buenos Aires: BdeF, 2015, pp. 112-129, 159-187.
[14] Cfr. punto 16 dell’opinione dissenziente del giudice Lorenzetti e punto 10 dell’opinione dissenziente del giudice Maqueda nella sentenza “Muiña”, cit., nonché il punto 21 dell’opinione dissenziente del giudice Rosenkrantz nella sentenza “Batalla”, cit.
[15] Su questo aspetto, cfr. Gabriel Pérez Barberá, “Sobre la inaplicabilidad del principio de ‘ley penal más benigna’ en el caso ‘Muiña’ de la CSJN”, en En Letra: Derecho Penal, anno IV, n. 6, 2018, pp. 321-327.
[16] Sulla discussione in dottrina, rinvio ancora, per una sintesi degli argomenti, a Fernández, El derecho penal intertemporal, cit., pp. 51-63, 159-162. Cfr. anche i punti 9, 10, 12 e 13 dell’opinione dei giudici Ronsenkrantz e Highton de Nolasco, 17 dell’opinione dissenziente del giudice Lorenzetti e 9 dell’opinione dissenziente del giudice Maqueda nella sentenza “Muiña”, cit.
[17] Cfr. punto 11 dell’opinione dei giudici Rosenkrantz e Highton de Nolasco nella sentenza “Muiña”, cit.
[18] Corte Interamericana dei diritti umani (CorteIDU), caso “Gelman vs. Uruguay”, sentenza del 24.02.11 (reperibile al seguente link).
[19] Cfr. punto 236 della sentenza della CorteIDU citata nella nota precedente, e punto 17 dell’opinione dissenziente del giudice Lorenzetti nella sentenza del caso “Muiña”, cit.
[20] Cfr. punto 13 dell’opinione dei giudici Rosenkrantz e Highton de Nolasco nella sentenza del caso “Muiña”, cit.
[21] Cfr. le opinioni dissenzienti dei giudici Lorenzetti e Maqueda nella sentenza del caso “Muiña”, cit.
[22] Ferrajoli, Derecho y razón. Teoría del garantismo penal, cit., pp. 172-173.
[23] Fallos: 127:106; 187:330; 201:568, in particolare l’opinione del giudice Legón.
[24] Fallos: 185:32.
[25] Fallos: 307:1904, in particolare punto 2 dell’opinione di maggioranza.
[26] Fallos: 327:3312, in particolare punti 26 a 33 dell’opinione dei giudici Highton de Nolasco e Zaffaroni, e 33, 37 dell’opinione del giudice Boggiano.
[27] Punto 6 dell’opinione di maggioranza nella sentenza della Corte Suprema pubblicata in Fallos: 331:858. Nello stesso senso, cfr. punto 11 dell’opinione dei giudici Rosenkrantz e Highton de Nolasco nella sentenza del caso “Muiña”, cit.