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ISSN 2611-8858

Temas

Derecho UE

Prescrizione del reato e ragionevole durata del processo: principi da difendere o ostacoli da abbattere?

Il tema della prescrizione è particolarmente sentito nel nostro Paese, nel quale un numero rilevante di procedimenti penali si conclude, purtroppo, con la dichiarazione di estinzione del reato per tale causa. Nel presente contributo si riflette criticamente sulla recente tendenza – ulteriormente percorribile, alla luce della nota sentenza Taricco – ad aumentare i termini prescrizionali per evitare tale esito, certamente non auspicabile. In particolare, si riflette sul fondamento garantistico e liberale della prescrizione e si pone l’accento sulla necessità di abbreviare i tempi del procedimento penale, piuttosto che allungare i termini della prescrizione, come una riforma non ponderata consiglierebbe; tale scelta si tradurrebbe, infatti, nella conseguente ulteriore lentezza della nostra giustizia penale, con tardiva riparazione per le vittime del reato ed interventi non sempre in grado di rieducare il condannato, e con effetti persino economicamente negativi per lo Stato. Pertanto, anche alla luce di recenti e condivisibili sentenze della Corte costituzionale, si auspicano mirati interventi, sul versante processualpenalistico, su quello ordinamentale ed anche sul piano del diritto penale sostanziale in grado di incidere sulla insostenibile lunghezza dei procedimenti penali italiani.

Ne bis in idem e contrasto agli abusi di mercato: una sfida per il legislatore e i giudici italiani

Il vigente sistema sanzionatorio dell’abuso di informazioni privilegiate e della manipolazione del mercato, imperniato sul ‘doppio binario’ penale e amministrativo, è stato giudicato dalla Corte di Strasburgo incompatibile con il diritto al ne bis in idem di cui all’art. 4, Prot. 7, CEDU nel caso Grande Stevens c. Italia. La sentenza sollecita tanto il giudice (comune e costituzionale) quanto il legislatore italiani ad armonizzare la disciplina italiana agli obblighi internazionali in materia di tutela di ne bis in idem, i quali derivano – oltre che dalla disposizione convenzionale citata – anche dall’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE, che è norma di diritto primario dell’Unione, idonea come tale a produrre effetto diretto negli ordinamenti nazionali. Il presente contributo analizza le possibili vie, de lege lata e ferenda, per giungere a tale risultato, in vista anche dell’imminente decisione della Corte costituzionale in materia e della prossima scadenza della legge delega sul riassetto delle sanzioni in materia di abusi di mercato.

L’insostenibile imprescrittibilità del reato. La giurisprudenza “Taricco” alla prova dei controlimiti

L’ordinanza con la quale la Corte d’appello di Milano ha richiesto l’intervento dei giudici di Palazzo della Consulta affinché impediscano l’ingresso del dictum stabilito dalla Corte di giustizia nella pronuncia Taricco offre uno spunto per una riflessione sulla delicata materia dei principi supremi dell’ordinamento. Nel lavoro si muove dal presupposto, tratto dalla giurisprudenza costituzionale, per cui non tutti gli istituti nei quali i principi supremi si estrinsecano vanno assunti a rango di “controlimite”. È invece il loro solo nucleo essenziale a non cedere di fronte al primato del diritto dell’UE. Proseguendo lungo tale direttrice, si analizza l’istituto della prescrizione, per capire se la sua disciplina rientri a pieno titolo nel nucleo centrale di tutela offerto dal principio del nullum crimen, nulla poena sine lege di cui all’art. 25, secondo comma, Cost., ovvero se ne rappresenti un aspetto meramente accidentale.

La primauté del diritto dell’UE e l’ordinamento penale nazionale

Il principio del primato del diritto dell’Unione europea costituisce un pilastro essenziale della costruzione giuridica europea, che tuttavia incontra particolari difficoltà a imporsi allorché deve operare rispetto all’ordinamento penale degli Stati membri, dominati dal principio di legalità, e in generale da principi costituzionali che concorrono a formare la stessa identità nazionale degli stessi Stati membri, che l’Unione è tenuta a rispettare. Emblematici di tali difficoltà sono gli obblighi statuiti dalla Corte di giustizia nella sentenza Melloni, che hanno posto il Tribunal Constitucional spagnolo di fronte all’alternativa se accettare una limitazione del proprio diritto costituzionale al giusto processo in omaggio alla funzionalità del mandato di arresto europeo, ovvero se opporsi frontalmente ai giudici di Lussemburgo; nonché quelli statuiti dalla Corte di giustizia nella sentenza Taricco, attualmente sottoposta al vaglio della Corte costituzionale italiana, e la cui sostenibilità al metro dei principi fondanti l’identità costituzionale italiana è in particolare oggetto di esame nel presente contributo.

Il mandato di arresto europeo dalla decisione quadro del 2002 alle odierne prospettive

Lo scritto ripercorre brevemente il cammino del mandato di arresto europeo dalla decisione quadro originaria ai nostri giorni, soffermandosi in particolare sulle nuove prospettive di garanzia finalizzate a bilanciare la natura repressiva di tale strumento.

Dalla Corte di Giustizia importanti indicazioni esegetiche in relazione alle prime due direttive sui diritti dell’imputato

L’Autore presenta la prima pronuncia della Corte di giustizia sulle cosiddette direttive di Stoccolma. Dopo aver ripercorso le argomentazioni spese dall’avvocato generale, vengono analizzati i principi di diritto accolti dal giudice del Lussemburgo. Si tratta di una decisione che, pur con cautela, valorizza la portata normativa delle direttive sull’interpretazione e sulla traduzione e sul diritto all’informazione nel processo penale.

La nuova disciplina eurounitaria sul market abuse: tra obblighi di criminalizzazione e ne bis in idem

Il Regolamento (UE) 596/2014 e la Direttiva 2014/57/UE intervengono incisivamente sul comparto degli abusi di mercato, attraverso scelte politico-criminali nette che risentono delle elaborazioni sovranazionali sulla “materia penale” e disegnano un sistema sanzionatorio unitario rispettoso del principio del ne bis in idem. Direttiva e Regolamento sono dunque destinati a conformare il diritto punitivo interno sia per quanto concerne la fattispecie di abuso di informazioni privilegiate, sia con riguardo all’ipotesi di manipolazione del mercato. Il legislatore nazionale sarà dunque chiamato a un non facile compito di adeguamento del vigente assetto del market abuse al fine di ottemperare alle prescrizioni eurounitarie.

Dal terzo pilastro ai nuovi strumenti: diritti fondamentali, “road map” e l’impatto delle nuove direttive

Se si cerca di trarre un bilancio del periodo transitorio seguito all’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, in campo processuale penale, emergono dati che si prestano a letture contrastanti. A prima vista, infatti, appare avvalorata la tesi di quanti osservino che poco o nulla sia cambiato, rispetto al periodo storico antecedente: a parte una maggiore valorizzazione dei temi legati ai diritti dell’imputato, l’impronta ideologica – tutta basata sul principio del mutuo riconoscimento – e la tecnica normativa – con previsioni prive di fattispecie, generiche e poco pregnanti sul piano tecnico – ripresenta gli stessi caratteri che già erano emersi nell’epoca pre Lisbona. Così come non pare variato l’atteggiamento del legislatore italiano, teso a recepire le nuove direttive in un’ottica di conservazione dell’esistente, vale a dire cambiando il meno possibile l’assetto delle previsioni codicistiche già vigenti. Tuttavia, se proviamo a soffermarci sul contesto nuovo in cui le direttive si inseriscono – vale a dire il quadro dei principi che devono accompagnare e guidare l’attuazione delle nuove fonti – lo scenario ci appare ribaltato. A un sistema multilivello, in cui il ruolo principale era attribuito alle disposizioni nazionali, se ne va sostituendo uno di carattere parafederale, caratterizzato dalla “libera circolazione” dei diritti fondamentali, in cui le previsioni degli ordinamenti statuali paiono destinate a rivestire una funzione del tutto secondaria. Le nuove direttive sui diritti dell’imputato, in questa chiave di lettura, vanno apprezzate più per quanto consentono di fare, al di là di ciò che in esse è espressamente previsto. In quest’ottica, la strada appare aperta alla diretta applicazione della CEDU quale diritto UE: è questo, a ben vedere, ciò che costituisce il vero obiettivo politico del Programma di Stoccolma. Si tratta di capire se il ceto dei giuristi, in Europa, sia pronto a recepire in maniera fruttuosa un cambiamento di tale portata, e di quali strumenti si debba dotare per essere in grado di affrontare la nuova sfida che la modernità impone.

La metamorfosi del diritto delle prove nella direttiva sull’ordine europeo di indagine penale

Solo in apparenza limitandosi a riproporre soluzioni già sperimentate in passato, la nuova direttiva sull’ordine europeo di indagine penale (o.e.i.) genera una vera e propria metamorfosi delle prescrizioni probatorie previste dal nostro ordinamento. Da “regole” a struttura chiusa, imperniate su bilanciamenti tra i valori in gioco prestabiliti in astratto dal legislatore, queste prescrizioni si trasformano in “principi” a struttura aperta, il cui contenuto può essere individuato dal giudice in ciascuna vicenda concreta in base ad un proprio contemperamento tra le varie esigenze che si contrappongono nella raccolta transnazionale delle prove. Di qui il rischio che le autorità giudiziarie chiamate a raccogliere e ad utilizzare prove in base alla direttiva eccedano i poteri loro conferiti. È un pericolo che, come dimostrano alcune decisioni in tema di mandato di arresto europeo, non sempre la Corte di giustizia dell’Unione Europea è in grado di fronteggiare. Un possibile antidoto è rinvenibile nello stesso diritto UE: si identifica con il rispetto del principio di equivalenza con gli standards di protezione dei diritti fondamentali rinvenibili nella CEDU e nelle Costituzioni nazionali e del principio di proporzionalità, statuiti dagli artt. 52 e 53 Carta di Nizza. Ne discende che l’Unione non tollera restrizioni dei diritti fondamentali non finalizzate a proteggere interessi degni di rilevanza, non controbilanciate da adeguate garanzie processuali e non strettamente necessarie. Alle luce di queste coordinate di fondo è possibile delineare alcune guidelines operative nell’impiego degli o.e.i. tali da interferire, in particolare, con il diritto al confronto ed il diritto alla riservatezza.

Presente e futuro del processo di armonizzazione europea della parte generale del diritto penale

Il processo di armonizzazione su impulso europeo delle legislazioni criminali degli Stati UE non sembra circoscritto alle sole fattispecie incriminatrici appartenenti alla “parte speciale” del diritto penale. Al contrario, le fonti europee sia di hard sia di soft law e la giurisprudenza della Corte di giustizia hanno dato vita ad un ravvicinamento occulto, frammentario ed embrionale di alcuni principi e regole di “parte generale” funzionali a garantire l’effettiva realizzazione degli obiettivi perseguiti dai trattati e l’effettiva attuazione delle norme penali UE su scala continentale. Questo lavoro riflette sui possibili sbocchi di una simile armonizzazione/unificazione sia sul piano normativo sia sul piano giurisprudenziale e sugli ostacoli, attuali e potenziali, al raggiungimento di tale traguardo.