Le Sezioni Unite, con le famose sentenze Dasgupta e Patalano, disegnano le condizioni dell’overturning della condanna in proscioglimento, imponendo la rinnovazione istruttoria in appello. Sullo sfondo, la giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani, peraltro meno esigente della nostra Corte di legittimità. All’orizzonte, la c.d. “Riforma Orlando”, che di questa giurisprudenza si fa sostanziale veicolo legislativo.
Pare proprio che, questa volta, dovremo dire addio all’appello così come configurato nel codice Vassalli. La riforma Orlando marcia ormai a tappe forzate verso l’approvazione e tra le (molte, eterogenee) novità che porta con sé ci sono anche disposizioni che muteranno in profondità i connotati del secondo grado di giudizio. Il disegno strategico è ambizioso: assicurare la piena “conformità convenzionale” del mezzo e, allo stesso tempo, decongestionare le Corti. Il risultato – che evidenzia un (non sorprendente, per la verità) continuum tra legislatore e cassazione – è però nel complesso assai deludente. Premesse errate, quanto a portata dei dicta di Strasburgo e a natura e funzione del mezzo, fondano soluzioni che ingigantiscono il giudizio senza migliorarne la qualità, e al contempo ne rendono più difficile l’accesso, irrigidendo le condizioni di ammissibilità.
Presente tra i requisiti di forma delle impugnazioni, la specificità dei motivi – per lo più valorizzata con riguardo al ricorso per cassazione – diviene, nell’interpretazione delle Sezioni unite, elemento centrale anche per valutare l’ammissibilità dell’appello. Sotto la lente del supremo collegio, la valutazione sulla genericità “estrinseca” dei motivi d’appello, ovvero sull’esistenza, o no, di un legame chiaro tra le doglianze avanzate dall’appellante e le ragioni di fatto e di diritto poste a base della decisione criticata, assume le sembianze di un filtro a maglie strette. Resta sullo sfondo, però, il rapporto tra inammissibilità, devoluzione e cognizione del secondo giudice, che molto si differenzia da quanto accade in sede di legittimità. La via imboccata può condurre lontano, sempre che si rifletta con la dovuta calma intorno alle prospettive funzionali del giudizio d’appello.
Il contributo esamina i tratti essenziali del complessivo intervento di riforma della giustizia penale del Ministro Orlando attualmente all’esame del Senato, che dovrebbe incidere su vari istituti del diritto penale sostanziale – come l’estinzione del reato per condotte preparatorie e, soprattutto, la prescrizione del reato – nonché di una congerie di norme di diritto penale processale, accomunate dalla finalità di rendere più efficienti gli sviluppi procedimentali, anche attraverso una più stringente scansione temporale dei diversi snodi.
Lo scritto propone un’analisi del recente d.d.l. governativo (Atto C N. 2798, che ha iniziato il suo cammino parlamentare davanti alla Commissione giustizia della Camera il 13 gennaio 2015) per quanto attiene alle proposte di modifica in materia di impugnazioni, e alle correlate direttive di delega, con esclusivo riguardo alle disposizioni del Libro IX del codice di rito penale.
Nella giurisprudenza della Corte EDU si è progressivamente affermato il diritto alla riassunzione della prova dichiarativa quando oggetto della cognizione e decisione del giudice dell’impugnazione sia l’integrale (ri) valutazione della responsabilità dell’imputato. Sviluppando il proprio itinerario interpretativo, in una serie di recenti pronunce la Corte di Strasburgo ha censurato come violazione dell’art. 6 CEDU l’omessa rinnovazione della prova nell’ipotesi di ribaltamento – in sede d’impugnazione – della sentenza di assoluzione in condanna. Nel presente lavoro si delineano presupposti e caratteri del diritto “convenzionale” alla rinnovazione della prova e se ne indaga l’impatto sull’ordinamento nazionale alla luce dei consolidati obblighi d’interpretazione conforme. Muovendo dall’analisi della più recente giurisprudenza della Corte di cassazione, l’indagine si snoda attraverso tre linee direttrici: (ri)definizione dell’ambito di operatività, nell’ordinamento domestico, delle rationes decidendi proposte dalla Corte EDU; praticabilità di un’interpretazione dell’art. 603 c.p.p. conforme alla Convenzione; ricostruzione delle cadenze del vaglio in appello sulla rinnovazione della prova decisiva e controllo della relativa decisione in sede di legittimità. A livello sistematico, infine, il riconoscimento in sede europea del diritto alla rinnovazione della prova fa riemergere la scarsa coerenza dell’attuale struttura dell’appello nel sistema processuale penale e costituisce una preziosa occasione per una riflessione de iure condendo.