Il presente scritto si basa sul lavoro svolto dal Gruppo di ricerca costituito dal Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Università di Firenze sul tema “Giustizia penale e informazione giudiziaria”, cercando di riassumere brevemente i principali nodi problematici emersi a proposito dei vari interessi coinvolti e del loro possibile bilanciamento. Nel presupposto che occorra sciogliere la contraddizione esistente tra una normativa vigente ma totalmente ineffettiva e una situazione di sofferenza di molti interessi, specie privati, si tenta di individuare alcune possibili linee di riforma o di ripensamento.
L’insidiosità delle nuove forme di propaganda e incitamento adoperate dai moderni terroristi, specie di matrice jihadista, ha prepotentemente riportato alla luce la storica tensione tra libertà di manifestazione del pensiero e sicurezza pubblica. Questo lavoro si propone di analizzare sinteticamente come, in tempi recenti, questi due contrapposti interessi siano stati bilanciati nel diritto penale e nel diritto amministrativo dell’immigrazione. L’idea di fondo che ispira la trattazione è che l’ordinamento abbia ‘scaricato’ sul secondo àmbito le istanze di prevenzione e repressione tradizionalmente appannaggio del primo, prediligendo reagire agli episodi di adesione ideologica verso il fenomeno terroristico (tweets, download di video, proclami in pubblico) con lo strumento dell’espulsione amministrativa piuttosto che col processo penale. Ne deriva un sistema dall’alto tasso di effettività ove, tuttavia, le garanzie sostanziali e procedurali connesse alla libertà d’espressione - specialmente di cittadini stranieri - rischiano di venire drasticamente compresse.
Le misure elaborate sul piano sovranazionale per rispondere adeguatamente all’evoluzione delle minacce terroristiche impongono, tra l’altro, la punibilità dell’istigazione a commettere reati terroristici e della pubblica provocazione. Sennonché, la pur legittima esigenza di colpire l’opera di proselitismo che avviene in certi luoghi di culto da parte di taluni predicatori o attraverso internet e i social media, divenuti sempre più spesso i canali principali usati dai terroristi per diffondere propaganda, rischia di incidere sulla libertà, costituzionalmente e convenzionalmente riconosciuta, di manifestazione del pensiero. A fronte, dunque, di un’eventuale espansione dell’area del penalmente rilevante, il problema cruciale è quello di individuare quale sia il limite tollerabile di flessibilizzazione di un diritto così fondamentale, in nome della sicurezza collettiva.
La previsione (nella proposta approvata in prima lettura dal Senato) del negazionismo come circostanza aggravante del reato di cui all’art. 3 della c.d. legge Mancino, non comporta un’estensione dell’area dell’illecito penale. Sul terreno penalistico è priva di utilità, ma non presenta i rischi connaturati a un’incriminazione autonoma. Risponde a ragioni di opportunità politica: chiuderebbe il problema di dare attuazione alla direttiva quadro europea, e trasmette un messaggio di impegno politico contro l’antisemitismo.