Le c.d. perquisizioni online rappresentano un istituto di natura ibrida e di difficile inquadramento giuridico, oggetto di crescente attenzione a livello europeo ed internazionale. Muovendo dalla preliminare individuazione dei diritti fondamentali della persona coinvolti, il presente contributo si propone di vagliare l’ammissibilità di tale strumento di indagine nell’ordinamento italiano.
Nella giurisprudenza della Corte EDU si è progressivamente affermato il diritto alla riassunzione della prova dichiarativa quando oggetto della cognizione e decisione del giudice dell’impugnazione sia l’integrale (ri) valutazione della responsabilità dell’imputato. Sviluppando il proprio itinerario interpretativo, in una serie di recenti pronunce la Corte di Strasburgo ha censurato come violazione dell’art. 6 CEDU l’omessa rinnovazione della prova nell’ipotesi di ribaltamento – in sede d’impugnazione – della sentenza di assoluzione in condanna. Nel presente lavoro si delineano presupposti e caratteri del diritto “convenzionale” alla rinnovazione della prova e se ne indaga l’impatto sull’ordinamento nazionale alla luce dei consolidati obblighi d’interpretazione conforme. Muovendo dall’analisi della più recente giurisprudenza della Corte di cassazione, l’indagine si snoda attraverso tre linee direttrici: (ri)definizione dell’ambito di operatività, nell’ordinamento domestico, delle rationes decidendi proposte dalla Corte EDU; praticabilità di un’interpretazione dell’art. 603 c.p.p. conforme alla Convenzione; ricostruzione delle cadenze del vaglio in appello sulla rinnovazione della prova decisiva e controllo della relativa decisione in sede di legittimità. A livello sistematico, infine, il riconoscimento in sede europea del diritto alla rinnovazione della prova fa riemergere la scarsa coerenza dell’attuale struttura dell’appello nel sistema processuale penale e costituisce una preziosa occasione per una riflessione de iure condendo.
Dopo una sintetica ricostruzione della struttura dell’accertamento del nesso causale, così come configurata dalla scienza giuridica e dalla giurisprudenza post Franzese, l’Autore compie una disamina dettagliata della più recente evoluzione giurisprudenziale in tema di causalità rispetto alle malattie professionali connesse all’amianto. Il quadro che ne esce è di estremo interesse, dovendosi registrare un netto contrasto in ordine all’effetto acceleratore sul mesotelioma da parte delle esposizioni successive alla c.d. iniziazione della patologia: nella giurisprudenza di merito, a un orientamento che afferma l’esistenza di tale effetto se ne contrappone un altro che invece lo nega; anche la giurisprudenza di legittimità risulta divisa tra un orientamento che accoglie l’ipotesi dell’effetto acceleratore e uno che invece prende atto di un contrasto all’interno dello stesso mondo scientifico. Alla luce di questo quadro si pone l’interrogativo se non sia divenuto necessario un intervento delle Sezioni Unite volto non tanto a prendere posizione sulla diatriba scientifica, quanto piuttosto a chiarire il ruolo del giudice allorquando la stessa spiegazione scientifica di un determinato decorso casuale reale risulta incerta. A ben vedere, infatti, all’origine di questi contrasti sembra essere la stessa sentenza Franzese e un consolidato orientamento giurisprudenziale formatosi successivamente, i quali, attraverso il criterio della credibilità razionale, attribuiscono al giudice il ruolo di valutare lo stesso fondamento delle leggi scientifiche esplicative dei processi causali.
Il 22 ottobre 2012 il Tribunale dell’Aquila condanna i membri della Commissione Grandi Rischi –organo consultivo della protezione civile, di cui fanno parte alcuni tra i più grandi esperti italiani di vulcanologia e sismologia – a 6 anni di reclusione, per i delitti di omicidio colposo e lesioni colpose in relazione a 36 delle vittime del devastante sisma che aveva colpito la città nell’aprile del 2009. L’analisi della sentenza “Grandi Rischi” – definita “storica” dai mass media, ma accolta con preoccupazione dalla comunità scientifica internazionale – costituisce l’oggetto del presente lavoro. Si ripercorreranno, infatti, i passaggi fondamentali di tale pronuncia: quello relativo al nesso di causalità fra la condotta di tipo comunicativo tenuta dai membri della Commissione e l’evento morte (o lesioni) delle vittime e quello concernente, invece, la possibilità di muovere a questi ultimi un rimprovero per colpa, generica o specifica.